Vivere per raccontarla. Prendiamo in prestito le parole di Garcia Marquez per spiegare il senso di un incontro. Forse per la prima volta, dall'inizio di questo incubo chiamato Covid, gli uomini incaricati di fronteggiare l'emergenza ognuno dal suo avamposto, si sono seduti accanto. Per raccontare, appunto.
Questo esercizio di memoria lo abbiamo condiviso nella redazione della Gazzetta, nel corso di un forum che abbiamo voluto ma non solo per ricordare, piuttosto per affrontare quell'ombra che abbiamo dentro e che ancora non ci abbandona: siamo usciti dall'emergenza? L'abbiamo vinta questa lotta? O il Covid continua a far paura?
Alla fine, del passato si è parlato relativamente e il racconto dei 15 mesi di apnea i direttori generali delle Asl pugliesi lo hanno dedicato all'aiuto reciproco, alla straordinaria esperienza solidale tra istituzioni, amministrazioni, cittadini e operatori sanitari. Lo abbiamo affrontato a mani nude, questo virus, lentamente, ondata dopo ondata, si sono costruiti un modello, un approccio, una strategia. Errori? Inevitabili davanti a un nemico inedito. Ora è tempo di futuro. E di speranza.
La speranza comincia da un fondamentale giro di boa chiamato campagna vaccinale. «Dalla fase pre a quella post vaccinale è cambiato tutto», dicono i direttori generali delle Asl: contagi in calo, numeri in flessione, il mostro che smette di mordere.
Siamo cambiati anche tutti noi, dalla genuina reazione della primavera 2020, gli arcobaleni ai balconi, l'inno d'Italia, l'andràtuttobene, alla disperata voglia di tornare alla vita di sempre. Ma nulla sarà più come prima, il che potrebbe essere l'unica cosa buona che ci lascia in eredità il maledetto virus perché ci ha obbligati ad anticipare il futuro, ad impossessarci nella quotidianità di tecnologie di nicchia, a ripensare i nostri spazi urbani di coabitazione, a sperimentare nuove forme di socialità. Forse anche a rinunciare a cose inutili.
E la speranza, che abbiamo tentato di rintracciare nel dialogo tra chi ha contribuito a fronteggiare l'emergenza, non è soltanto sconfiggere il virus, liberarci delle mascherine, tornare ad abbracciarci. È piuttosto la ribellione a un sistema deformato e suicida che ha affidato la Sanità italiana al pensiero e alla scrittura degli economisti. L'assessore Pier Luigi Lopalco lo dice con passione come un manifesto di disobbedienza: «Il virus ci ha fatto scoprire che tagliare la sanità significa tagliare l'economia».
E c'è ancora spazio per denunciare quanto quegli stessi economisti siano sempre fin troppo benevoli con le regioni del Nord, a fronte di un Mezzogiorno di cuori e cervelli volutamente lasciato in affanno. «Abbattiamo gli ostacoli, le barricate, le rendite di posizione», dice ancora Lopalco. Così il nostro incontro sullo spavento, sullo smarrimento diventa invece una promessa di rivoluzione.
Rifondare la sanità e la mentalità, rifondare la coscienza del Sud, comprendere i bisogni, assecondare il cambiamento. Questo il virus della speranza.