E alla fine, poveri o beati noi (a seconda dei gusti) ci becchiamo anche questo Sanremo «mascherato». Sono solo canzonette al via da oggi, tra tamponi e distanze, barricate e divieti. E, con quel filo di speranza e di leggerezza (anche qui a seconda dei gusti: si potrebbe dire di inadeguatezza e di stupidità) che ogni anno carica la musica di parole, di contratti e spot milionari, trascinandoci per fortuna in quella voglia di scoprire talenti e di ascoltare melodie.
Saranno accese le Tv delle stanze degli ospedali, saranno accese le Tv delle case dai divani sfondati, mai così popolate come in questi tempi. Rivedremo l’onnipresente Amadeus, l’uomo che disse «me ne vado» e poi invece restò, anche se il Festival - per fortuna - non si fa in presenza come voleva lui. E ci sarà misteriosamente una Bari protagonista, visto che non solo bollettini di casi Covid forniamo, ma anche ricordi e bellezza.
E in questi giorni il miracolo di Bari superstar è sotto gli occhi di tutti. Dal Commissario Lolita, che divide i critici per la realizzazione ma unisce il mondo con la celebrazione di una città bellissima ripresa in ogni suo angolo, a quel citare Bari che ieri ha caratterizzato la «posa della prima pietra» del festival. Sì, perché Fiorello ha ricordato le Casermette in cui arrivò per la leva, come soldato siciliano di buone speranze televisive: capelli lunghi e barbiere d'obbligo.
E poi la star internazionale Laura Pausini, che domani sarà tra i super-ospiti-super-tamponati e che ieri ha vinto il Golden Globe per la canzone Io sì, a sua volta colonna sonora del film girato a Bari da Carlo Ponti con la grande Sophia Loren. Che ha detto Pausini appena intervistata? Che la canzone le è stata ispirata da quelle scene in una Bari presente/antica, da quella casa non lontana da corso Cavour nella quale la Loren dà calore alle donne sfruttate e ai loro bimbi.
Puglia forever: non ci sono i turisti quest'anno, ma c'è il cinema e c'è la musica - per fortuna - a far parlare di noi, della nostra bellezza difficile, di quel marchio che non è marcio sotto la scure del Covid ma che – nonostante tutti i problemi – è aria nitida, folata di speranza, luce cristallina sulle case e sull'emergenza. Quasi un filo rosso virtuale che ha legato in queste ore la scatola della Tv a noi, quaggiù, chiusi tra regioni, chiusi tra colori arancioni, gialli e... neri di pessimismo.
E poi ancora quel Commissario Ricciardi formato Tv che affascina in una Napoli che invece è Taranto Vecchia (e quanto è bella!), con l'emozione dei vicoli e del peso di una Magna Grecia vogliosa di risorgere dalle ceneri e dalla diossina.
Luoghi comuni? Forse. Ma le canzoni, la Tv e lo spettacolo a volte lo sono. Soprattutto quando arriva un Festival a porte chiuse, con gli applausi finti e con gli abbracci distanziati. Non si poteva fare diversamente, non sarebbe stato giusto nemmeno per il resto del mondo dello spettacolo che geme nel silenzio, in attesa forse di quel 27 marzo così estraniante, così incerto, in cui si potrebbero realizzare le riaperture.
Eppure la cultura va: solo chi ha gli occhi bendati può non accorgersi del fatto che la gente ha sì voglia di uscire e di assembrarsi, ma ha anche voglia di ascoltare qualcosa di bello e di intenso. Fanno cifre da boom i concerti bellissimi della Fondazione Petruzzelli, tutti rigorosamente online, ma seguitissimi in ogni parte del mondo (magia del web). Così come procede l'entusiasmo per il ritorno dei musei aperti, si diffondono le notizie sulle future mostre. Un Mausoleo come quello di Augusto a Roma, rimasto deserto per 14 anni, riapre e fa il tutto esaurito fino a fine aprile. Serpeggia la voglia di dissetarsi d'arte, non solo di lavarsi le mani e di tenere le distanze.
E questa è una fortuna alla quale il Festival un po' appartiene. Che piaccia o non piaccia con la sua ridondanza, è la musica che ci aspettiamo, quella vera, quella che ci renderà per qualche ora divisi non più tra AstraZeneca o Pfizer ma, vivaddio, tra un Ermal Metha (cresciuto a Bari!) e un Fedez tatuato, tra una tenera Francesca Michielin e un rapper come Peyote. Per qualche ora i numeri non saranno quelli dei positivi ma quelli dei voti ad Arisa e al suo rossetto improbabile o al bel Renga con il contraltare della eterna Orietta Berti. E chissà, per come siamo messi, ci piacerà pure lei: 55 anni di carriera, a dirci che fin che la barca va, ci siamo pure noi. Preoccupati, leggeri o divertiti, ancora ci siamo.