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Michele Partipilo
26 Gennaio 2021
Da ieri l’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, la più popolosa della Puglia, ha a tutti gli effetti un nuovo Pastore: è monsignor Giuseppe Satriano. Era stato nominato dal Papa lo scorso 29 ottobre in sostituzione di monsignor Francesco Cacucci, che al compimento del 75esimo anno di età aveva presentato le dimissioni di rito. Era stato però prorogato dal Papa con la formula donec aliter provideatur, cioè fino a quando non si disponga diversamente. Ieri, a quasi 78 anni, «don Franco» ha lasciato definitivamente la guida della Diocesi per tornare alle sue letture e dedicare più tempo alla preghiera.
Appare limpida l’azione che da quell’8 settembre 1999 ha svolto alla guida della Diocesi, dopo sei secoli primo vescovo barese a Bari. La città dovrebbe essergli riconoscente e diventare consapevole che perde un Pastore dalle doti non comuni, nel solco dei grandi vescovi che si sono succeduti negli ultimi decenni: da Mimmi a Nicodemo, da Ballestrero a Magrassi. Ma Bari e i baresi hanno la memoria corta e dimenticano presto, l’oblio cade soprattutto su chi ha lavorato per il loro bene.
Monsignor Cacucci, per carattere, formazione e cultura, ha sempre cercato di tenere a distanza il mondo chiassoso della comunicazione. Da studioso dei media, e di cinema in particolare, sa bene quanto sia facile alimentare ed essere poi sopraffatti dal quel rumore di fondo che caratterizza ormai ogni attimo della nostra vita. Anche quando era arcivescovo a Otranto e organizzava l’accoglienza dei primi profughi che sbarcavano sulle coste pugliesi l’ha fatto con discrezione, stimolando senza fragori la generosità e la disponibilità della comunità idruntina. Allora l’accoglienza era questione umanitaria e non motivo di rissa partitica.
Cauto con i media e cauto con i politici, ma attuando quella che è la «politica» del Vangelo con i metodi del Concilio. Il capolavoro in questo è rappresentato dall’autorizzazione a portare in Russia alcune reliquie di San Nicola. Era stato lo stesso papa Francesco a chiederglielo, dopo aver appreso del desiderio del patriarca ortodosso russo Kirill, che da semplice vescovo era stato più volte in pellegrinaggio nella basilica di Bari. C’era però il timore che tra i fedeli baresi potesse sorgere il sospetto che quelle reliquie non tornassero nella tomba che le custodiva da secoli. Insomma resti rubati ai turchi per poi farseli soffiare dai russi.
Ma c’era anche da salvare il prestigio e la dignità del patriarca, messo sotto attacco dall’ala più conservatrice della sua Chiesa dopo l’incontro semi-clandestino con il Papa a Cuba. Monsignor Cacucci ha capito che un no alla richiesta del Papa poteva determinare una nuova frattura nei rapporti sempre fragili fra cattolici e ortodossi. Fu ripagato del coraggio mostrato quando a Mosca fu testimone delle decine di migliaia di fedeli in coda per ore sotto il gelo russo pur di poter baciare le reliquie portate nella cattedrale del Cristo Salvatore. Quella fede semplice e popolare, eppur incrollabile come una roccia, era la stessa dei baresi che incontrava ogni giorno nella città vecchia, eredi di quei marinai che fecero l’impresa. Lo stesso Putin sull’onda del clamore e delle code sempre più lunghe sentì il bisogno di andare pellegrino davanti alle reliquie. Ma questo - ed è il tratto più squisitamente politico - era anche il segno di una rinnovata fiducia del Palazzo nei confronti di Kirill. Oggi accanto ai canali diplomatici ufficiali tra Italia e Russia, ce n’è anche uno invisibile e silenzioso che passa per Bari.
Monsignor Cacucci ha avuto la determinazione, l’intelligenza e l’audacia di riscoprire e portare a maturazione l’antica vocazione di ponte con l’Oriente non solo di Bari, ma di tutta la regione. Gli incontri con i leader religiosi del bacino del Mediterraneo, il dialogo sempre aperto con Mosca non sono episodi né avvengono per caso, ma hanno bisogno di quel lavoro discreto e mite che rifugge dalla notorietà e dai clamori per cogliere risultati concreti. Questo è stato lo stile di monsignor Cacucci nei due decenni e passa da arcivescovo di Bari-Bitonto. Uno stile e un impegno apertamente apprezzati da tre papi: da Giovanni Paolo II che lo nominò vescovo, da Benedetto XVI che a Bari fece la prima visita del suo pontificato e infine da Francesco, che per ben due volte è stato in città.
Con lo stesso stile pacato eppur fermo, monsignor Cacucci ha guidato anche la sua diocesi, fatta di due anime profonde: quella barese e quella bitontina. Due territori afflitti da molti problemi comuni, come la devianza giovanile, la criminalità e la corruzione. Il contatto costante con i parroci, con le associazioni – anche quelle laiche – gli ha permesso di avere sempre chiaro il reale stato della società, di conoscerne i malesseri più segreti e le nuove povertà.
Monsignor Cacucci ha investito molto sulla cultura e si è fatto portavoce di questo bisogno «invisibile» anche all’interno della Conferenza episcopale italiana, dove ha svolto un ruolo di spicco. Una cultura non tollerante, perché tollerare significa sopportare, ma una cultura rispettosa, cioè che riconosce le idee di tutti, perché solo così è possibile costruire un dialogo improntato alla verità e quindi utile a costruire il bene comune.
Questa è solo una parte di ciò che ha fatto il vescovo barese per la sua gente. Sapranno i baresi e i bitontini – non solo i credenti, perché mons. Cacucci è stato pastore di tutti – mostrarne consapevolezza?
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