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Non creiamo uno stato di soli dipendenti pubblici

 
Beniamino A. Piccone

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Beniamino A. Piccone

Non creiamo uno stato di soli dipendenti pubblici

Una volta sconfitto il coronavirus, ci aspetta una grande insidia: l’invadente ruolo dello Stato, dimostratosi incapace di garantire al sistema economico efficacia ed efficienza nell’erogare servizi pubblici

Martedì 07 Aprile 2020, 17:27

Una grande insidia si affaccia davanti a noi, una volta sconfitto il coronavirus: l’invadente ruolo dello Stato, dimostratosi incapace di garantire al sistema economico efficacia ed efficienza nell’erogare servizi pubblici e nel disegnare un quadro di regole favorevole allo sviluppo dell’impresa.

La crisi economica che stiamo solo assaggiando ha già chiamato a raccolta le forze ostili all’economia di mercato. Sono sempre maggiori le voci che invocano un peso maggiore dell’impresa pubblica, la nazionalizzazione di molte imprese in crisi, sussidi a gogò in eterno.

Una grande insidia si affaccia davanti a noi, una volta sconfitto il coronavirus: l’invadente ruolo dello Stato, dimostratosi incapace di garantire al sistema economico efficacia ed efficienza nell’erogare servizi pubblici e nel disegnare un quadro di regole favorevole allo sviluppo dell’impresa.
La crisi economica che stiamo solo assaggiando ha già chiamato a raccolta le forze ostili all’economia di mercato, che da sempre, in Italia, fatta eccezione per una minoranza di intellettuali di cultura liberale, non ha mai ottenuto il sostegno del Paese che conta. E oggi il quadro è ancora più chiaro. Sono sempre maggiori le voci che invocano un peso maggiore dell’impresa pubblica, la nazionalizzazione di molte imprese in crisi, sussidi a gogò in eterno, in sostanza un’economia basata sul reddito di cittadinanza – o di emergenza (e sappiamo quanto le emergenze in Italia durino in eterno) – e il sistema economico privato relegato in un angolino.

Burocrazia - Non è inutile ricordare che l’economia italiana vede già oggi il settore pubblico intermediare oltre il 50% delle risorse. Dove vogliamo andare? Vogliamo avvicinarci al mondo russo, caro a Matteo Salvini, dove ci si permette pure di minacciare la libera stampa italiana?

Parliamo della burocrazia, atavica palla al piede fin dall’Ottocento. Sono meravigliose le pagine che Pasquale Villari (1827-1917), storico e politico italiano – ministro dell’Istruzione dal 1891 al 1892 – dedica alla burocrazia: “In tutte le Prefetture, nella Polizia, nei Ministeri, nei Municipi, ovunque si poteva supporre un’ombra di influenza politica, si posero uomini che avevano più carattere che esperienza, più entusiasmo che cognizioni speciali…il numero degli incapaci fu spaventoso…Noi abbiamo avuto magistrati che appena avevano letto il Codice, prefetti d’una ignoranza proverbiale, professori che non avevano studiato la materia che dovevano insegnare. Ed è singolare; il paese che ha sempre gridato contro tutti e contro tutto, è sempre stato d’una tolleranza illimitata contro questo trionfo di incapacità” (Lettere meridionali, Le Monnier, 1878).

Ancora oggi, a distanza di 142 anni da allora, abbiamo a che fare con un’amministrazione lenta, pedantesca, ottusa, intricata e tenacissima delle sue vecchie tradizioni, capace solo di trovare il modo di ostacolare l’attività d’impresa e il cittadino, che deve perdere ore e ore per ottemperare a disposizioni ottocentesche (vogliamo parlare dei moduli di autocertificazione che cambiano ogni giorno?). Come è possibile che un imprenditore pronto a produrre le mascherine – introvabili - , non possa metterle in commercio perché manca un timbro dell’Istituto Superiore di Sanità?

Come osservò l’economista e filosofo britannico John Stuart Mill (1806-1973), “una burocrazia tende sempre a divenire una pedantocrazia”. Non esiste all’interno della Pubblica Amministrazione il concetto di responsabilità. Nessuno vuole farsi carico delle questioni spinose. Nessuno vuole firmare perché le norme e i regolamenti sono astrusi, complicati, scritti male. I giuristi del nostro Paese hanno mai fatto un mea culpa per aver disegnato un sistema tale da rendere il cittadino suddito perché spesso la norma è giudicata in modo diverso da due giudici? Valgono le parole di Goethe, quando Faust dice al suo assistente Wagner: “E stimi dunque che da vil pergamena esca la sacra sorgente che l’ardor di questa sete possa ammorzarti? Oh no! ristoro alcuno non aspettar, se dall’anima tua limpida non zampilla”.

Nel 2020 ha ancora senso l’anzianità di servizio? E i premi a pioggia dati a tutti i dipendenti pubblici (sempre bravissimi)? A parole tutti vogliono premiare i giovani, ma così non è. Villari saggiamente scriveva che “non appena si vedono i segni di un qualche giovane di vero ingegno che sorge, un mal volere, direi quasi, un odio infinito, s’accumula contro di lui e lo circonda. La mediocrità è una potenza livellatrice, vorrebbe ridurre tutti gli uomini alla sua misura, odia il genio che non comprende, detesta l’ingegno che distrugge l’armonia della sua ambita uguaglianza”.

Monito - Villari, Senatore del Regno nonchè direttore della Scuola Normale di Pisa, ammoniva che “i sacrifizii non piacciono a molti. Ma se l’ora dei sacrifizii non incomincia, quella della vera libertà non può sonare”. E’ inutile pensare sempre di svangarla con i fondi europei (che poi vanno restituiti) o con una “bella patrimoniale a carico dei ricconi”, urge agire e lavorare con serietà, rendendo la nostra Pubblica Amministrazione snella e procedere senza indugio ad una sferzante semplificazione. Sta in noi, soleva dire Donato Menichella (1896-1984). Ed è proprio la strada da seguire, non invocare aiuti dal cielo.

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