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Sanità pubblica, l'importanza di trovarsi in buono stato

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Lorenzin: vaccini gratis  e più assistenza sanitaria

Ex malo bonum, dicevano i latini. Dal male può sbucare il bene. Speriamo che, a emergenza finita, questo detto possa avere un seguito a partire dalla sanità

Giovedì 05 Marzo 2020, 14:44

Quando si perdono di vista i fatti, tutto può accadere, avvertiva il grande Leonardo Sciascia (1921-1989). Ecco. Se c’è un Paese che manifesta idiosincrasia, per non dire avversione, nei confronti dei fatti, questo Paese si chiama Italia. Ma i fatti hanno la testa dura e, specie in occasione di emergenze come quella del coronavirus, s’incaricano di smascherare tutti i luoghi comuni che le vulgate più diffuse alimentano soprattutto sull’informazione on line.

Sono in molti, in questi giorni, a lamentare gli effetti perversi prodotti dalla Rete, a cominciare dagli isterismi di massa che rischiano di assestare un colpo micidiale a un’economia già claudicante. Ma la Rete, in Italia, è ritenuta più sacra della Madonna e più inattaccabile di Giuseppe Garibaldi (1807-1882). Guai a ipotizzare misure di regolamentazione, per evitare un Far-West sempre più doloroso (per verità fattuali e reputazioni individuali). Si rischia immediatamente di passare per imbavagliatori o nemici della libertà. Strana reazione, questa, in un Paese che, dalla mattina alla sera, fa professione di anti-liberismo, sollecitando interventi restrittivi pure per la bottega di un barbiere. Invece.

Invece quando si tratta di correggere le anomalìe dell’unico settore (Internet) che da sempre agisce in uno spazio ultra-liberistico, s’innalzano sùbito le barricate: Internet non si tocca, no al bavaglio e via su questi toni. Ma se, come sostiene la nuova «volontà generale», il liberismo va contenuto, anzi combattuto, allora perché ci si oppone alla regolamentazione dell’unico mezzo di comunicazione che prospera in un regime di piena anarchia giuridica, senza vincoli di sorta? Chissà.

Andiamo oltre. È tornato di moda, in Italia, lo Stato imprenditore, lo Stato padrone. Ormai lo Stato comanda e interviene ovunque. Il diritto pubblico sta comprimendo il diritto privato. Dilaga la voglia di economia amministrata. Fa proseliti la tendenza a trasformare gli imprenditori in pubblici ufficiali, in burocrati lontani anni luce dai precetti schumpeteriani. Eppure, a dispetto di uno scenario che rivede lo Stato nel ruolo di mattatore modello Vittorio Gassman (1922-2000), c’è chi descrive il Belpaese come la terra del liberismo puro, o selvaggio, come usa dire. Roba da neolingua orwelliana, come la guerra contrabbandata per pace e l’assolutismo spacciato per piena democrazia.
Eppure se c’è una materia in cui l’intervento pubblico non solo è auspicabile, ma pure doveroso, questa è la salute. Insieme con l’istruzione, la sanità dev’essere in cima ai pensieri e ai compiti di uno Stato. Invece sanità e scuola non ricevono, da Roma, l’attenzione e i quattrini in grado di assicurare un servizio degno di un Paese avanzato. Dire che lo Stato, e non da oggi, è distratto (eufemismo) proprio su sanità e scuola, significa limitarsi a fotografare la realtà com’è, che una vicenda come l’attuale sindrome cinese potrebbe esasperare fino all’inverosimile.

Diciamolo. Se l’emergenza da coronavirus dovesse aggravarsi, lo Stato italiano non sarebbe in grado di fronteggiarla sul piano sanitario. Non ne sarebbe capace perché i soldi, negli ultimi decenni, sono stati indirizzati altrove, fino al reddito di cittadinanza e ad altre prebende assistenziali. Nessuna regione si trova oggi nella condizione di affrontare una pandemia.
Prendiamo la Puglia. Oggi soltanto una decina di ospedali avrebbe le carte in regola per affrontare un’eventuale avanzata del morbo. Quanti sono, infatti, i presìdi sanitari provvisti dei reparti di pneumologia infettiva, terapia intensiva, unità coronarica? Pochini. Si pagano decenni di ritardi e rinvii nella realizzazione di una nuova, moderna edilizia ospedaliera. Se ne sta costruendo uno, tra Monopoli e Fasano. Ma bisognerebbe accelerare la realizzazione di altri complessi all’avanguardia. Bisogna avere il coraggio di riconvertire alle cure ordinarie molti degli attuali ospedali e ospedaletti per puntare all’eccellenza e alla dotazione dei reparti di cui sopra.

Lo scenario non cambia nel resto d’Italia. Anche perché la sanità pubblica, come la scuola, è orientata verso il consenso (elettorale/clientelare), piuttosto che verso l’efficienza. Ma, malgrado questi limiti, solo la sanità pubblica potrebbe dare una risposta strutturale a imprevisti come l’epidemia in atto. Non a caso, negli Stati Uniti, si avverte una comprensibile apprensione per i viaggi del virus alla scoperta dell’America. L’amministrazione di Washington incontrerebbe più di un ostacolo nel definire una comune politica di contrasto sull’intera confederazione, alla luce della natura privatistica della sanità a stelle e strisce.

Non esiste una ricetta dogmatica per tutti i problemi della vita. Possiamo solo fidarci dell’esperienza. E l’esperienza suggerisce che sanità e istruzione dovrebbero figurare in cima ai pensieri di ogni Stato, mentre tutto il resto dovrebbe essere, in prevalenza, materia di iniziativa privata. In Italia, invece, si è portati a fare il contrario. Con tutte le conseguenze facilmente immaginabili.
Ex malo bonum, dicevano i latini. Dal male può sbucare il bene. Speriamo che, a emergenza finita, questo detto possa avere un seguito a partire dalla sanità.

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