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Dalla cannabis sul balcone alle leggi guazzabuglio

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Dalla cannabis sul balcone alle leggi guazzabuglio

Tra un geranio e un ciclamino ai nostri balconi ora potremo metterci anche una piantina di cannabis. Il via libera l’ha dato l’altro giorno la Suprema corte di Cassazione

Sabato 28 Dicembre 2019, 15:01

19:12

Tra un geranio e un ciclamino ai nostri balconi ora potremo metterci anche una piantina di cannabis. Il via libera l’ha dato l’altro giorno la Suprema corte di Cassazione. In una sentenza già definita storica, ha sancito che coltivare piantine di canapa per uso personale e in modica quantità non è reato. Messa così sembrerebbe anche una scelta ragionevole, ma come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli. Tanto per cominciare, a quanto corrisponde la «modica quantità»? Una pianta, due piante, fino a dieci vasi? E come si calcola? Sul numero di piantine o sulla quantità di «erba» prodotta?

Anche l’«uso personale» - nonostante i paletti posti dagli Ermellini - nasconde le sue trappole.

Esempio: coltivo la mia bella piantina in vaso sul balcone, il «raccolto» lo tengo per me, ma un giorno viene a casa mio fratello e porta con sé qualche amico. Coltivando l’orgoglio di mostrare il proprio pollice verde, offro un po’ della mia cannabis agli ospiti: siamo ancora nell’ambito dell’uso personale o si è già passati allo spaccio?

Gli interrogativi e i casi particolari potrebbero continuare a lungo. Il problema è quello di sempre: i giudici, che dovrebbero limitarsi ad applicare le leggi, si trovano sempre più spesso a fare scelte che il legislatore – cioè la politica – non fa, perché non ne è capace, perché non ne ha la forza, perché sono scelte impopolari. L’elenco è sterminato. Per tutti basterebbe la vicenda del suicidio assistito su cui si è pronunciata pochi giorni fa la Corte costituzionale, che pure aveva sospeso per un anno il giudizio per dare tempo al legislatore di regolamentare la delicata materia. Niente da fare. Hanno dovuto decidere le toghe assumendosi una responsabilità che forse va al di là dei loro compiti istituzionali, proseguendo in una supplenza che ormai non scandalizza più nessuno.

L’unica legislazione che la politica riesce a produrre è quella d’emergenza. Decreti che talvolta non vengono neppure convertiti in legge o norme che vengono infilate in «maxiemendamenti» su cui il governo chiede poi la fiducia. Guazzabugli di commi, rinvii, articoli, che producono confusione e contraddizioni per cui poi è necessario procedere con rettifiche, interpretazioni e modifiche. In questo intrico regolamentare è facile per i furbi inguattarsi negli angoli più nascosti, aggrapparsi a cavilli e sotterfugi. Al contrario, la vita è impossibile per gli onesti, il cui cammino è disseminato da ostacoli burocratici e legislativi di ogni tipo.

La stessa lotta all’evasione fiscale diventa così un miraggio. Finché non si faranno leggi chiare, semplici, coerenti il cui fine è l’equità della tassazione e non la protezione di interessi particolari, evadere sarà sempre più facile e conveniente che pagare le tasse. Un principio così banale che Manzoni l’aveva messo pure nei Promessi sposi, a conferma di quanto sia antico il vizio italico. Le gride servono a poco, a Napoli direbbero che sono buone solo «a fare ammuina». Ed è quello che è successo con il tanto sbandierato «carcere per gli evasori», sostenuto dai 5Stelle fin sulla soglia della crisi di governo. Davvero è necessario il carcere per far pagare le tasse?

C’è uno Stato imballato in un contesto globale che corre a ritmi frenetici. Non riusciamo a tenere il passo perché buona parte dell’intero apparato normativo è obsoleto e inadeguato, i politici litigano per conquistare consensi e potere e i giudici sono costretti a mettere toppe alla situazione, giungendo talvolta a soluzioni singolari.

S’è detto molto sui giovani che fuggono all’estero, originando una nuova emigrazione, questa volta però istruita e preparata.

Sono cervelli e competenze che faranno la fortuna del Paese che li ospiterà, non più braccia e miseria come nei secoli scorsi.

Non vanno a cercare solo lavoro, vanno a cercare uno Stato che sappia svolgere i suoi compiti, che ti consenta di emergere e realizzarti senza imprigionarti in vincoli assurdi. Insomma nelle aspirazioni dei nostri figli c’è anche uno Stato che funziona e non solo un’occupazione.

Qualità della vita è anche qualità delle leggi. La società complessa in cui viviamo ha bisogno di percorsi chiari o si trasforma in società complicata, in cui alla fine torna a vigere la legge del più forte. Ecco perché è difficile resistere alla tentazione di farsi una canna per poter andare avanti. Adesso con la propria piantina di cannabis sul balcone sarà pure più facile. Ma non sarà un contributo utile a migliorare la società.

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