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Quante «bombe» sul cammino del possibile governo

 
Bruno Vespa

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Bruno Vespa

Quante «bombe» sul cammino del possibile governo

Non sappiamo in questa pazza crisi quali conseguenze avrà l’improvviso irrigidimento di Luigi Di Maio nella trattativa con il Pd

Sabato 31 Agosto 2019, 16:30

16:32

Non sappiamo in questa pazza crisi quali conseguenze avrà l’improvviso irrigidimento di Luigi Di Maio nella trattativa con il Pd – giudicato dai Democratici come un ‘inaccettabile ultimatum’ - e vediamo di capire come e perché siamo arrivati a questo punto.

L’8 agosto, giorno di apertura della crisi di governo, Nicola Zingaretti confermò in assoluta buona fede che il Pd era favorevole alle elezioni. Lo diceva da mesi e questo ha convinto Salvini a rompere il patto con Di Maio. Le cose sono andate diversamente non solo per il ribaltamento della posizione di Renzi. Sul segretario del Pd si è abbattuta la fortissima pressione di un vasto mondo di riferimento.

Dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Chiesa al volontariato, dal mondo finanziario a quel complesso di poteri e di centri d’influenza che non ha mai consentito al centrodestra di eleggere un presidente della Repubblica. Si aggiungano le 400 importantissime nomine di primavera nelle società partecipate e il quadro sarà completo. Nella controversa collocazione ideologica e politica da attribuire al Movimento, questo mondo ha preferito affiancargli un partito “di sistema” come il Pd piuttosto che far vincere le elezioni a un partito considerato “antisistema” come la Lega. Che i consensi popolari per Salvini fossero vicini al 40 per cento era una pericolosa aggravante.

Se riuscirà a nascere, il governo giallorosso dovrà affrontare problemi micidiali come la Bestia che si parò davanti a Dante nel primo canto dell’Inferno e gli fece “tremar le vene e i polsi”. Trovati i 23 miliardi per disinnescare la bomba dell’aumento dell’Iva, si dovranno far convivere reddito di cittadinanza e 80 euro con le auspicate iniziative di riduzione fiscale. Favorire le imprese o i cittadini è una scelta politica, ma sempre tanti soldi bisogna trovare. Cosa difficile a un governo compatto come è stato fino alla primavera del 2018 quello del Pd, proibitivo se i due partiti di una coalizione tirano la corda da posizioni opposte.

La sconfitta del ‘cattivo’ Salvini ha fatto tornare il sorriso a Bruxelles e certamente l’Italia incontrerà maggiore comprensione, sempre nei limiti delle regole. Il calo dello spread aiuta i conti pubblici (100 punti valgono 3,5 miliardi), ma l’economia è ferma e la cassa integrazione è aumentata di un terzo rispetto all’anno scorso. I consumi interni sono bloccati e le esportazioni soffrono. Salvini pensava di dare una frustata con la flat tax, anche in deficit. Vedremo la soluzione del governo giallorosso, se e a quali condizioni Conte riuscirà a formarlo. La metà del Paese che secondo i sondaggi voterebbe centrodestra e avrebbe preferito le elezioni è molto disorientata e teme – probabilmente a torto – un qualche aumento delle imposte. Questa incertezza, se non sarà fugata al più presto, non favorisce gli investimenti, anche piccoli. E non sappiamo quale sarà la reazione di quegli industriali del Nord Est che all’inizio della crisi hanno dato a Salvini una pubblica quanto inedita spinta verso il voto. Il successo del Capitano ha tre padri: una efficace lotta all’immigrazione forzata, una politica di opposizione (forse eccessiva, soprattutto nei toni) a un’Europa sorda e spesso ipocrita che ha preferito la contabilità dei decimali alle grandi visioni dei Padri fondatori e la prospettiva, realizzata in piccola parte, di una riduzione fiscale. Certo, si può far meglio. Vedremo come.

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