C’è stato un tempo in cui Giuseppe Conte da Volturara Appula era il vice dei suoi vice. I tribuni della plebe, Salvini e Di Maio, firmavano contratti e dettavano la linea e lui, vaso di coccio tra i vasi di ferro, declamava il dettato.
E a nulla, nei primi tempi, servì il tentativo un po’ goffo di inglobarlo nella narrazione corsara dei gialloverdi promuovendolo ad «avvocato del popolo». Lo streaming della realtà restituiva ogni giorno la verità più spietata. Memorabile quanto accadde nel giugno del 2018: nel bel mezzo di una arringa a Montecitorio, Conte sussurrò a Di Maio «posso dire che..?» e quello, senza nemmeno lasciarlo terminare, lo gelò: «No». Fine della discussione e giù risate e commenti di scherno sul premier burattino manovrato dai suoi sottoposti.
Oggi, un anno dopo, Conte è pronto a fare la sua mossa. Dopo aver bastonato Salvini a mezzo lettera, sulla questione Open Arms, è pronto a fare altrettanto in Aula, di fronte a tutta la nazione, per poi magari salire al Colle e rimettere il mandato. Un gesto, eventuale, che potrebbe certificare l’avvenuto cambiamento: il burattino ha rotto i fili, s’è coperto le spalle (stringendo le mani «giuste» in Europa) e ora almeno uno dei due vicepremier non lo controlla più. Con l’altro è presumibile si discuta alla pari, mentre non è un mistero che il Quirinale ne apprezzi il garbo e il procedere misurato. E chissà che dopo la fine della burrasca, Conte non possa recitare ancora un ruolo di primo piano, magari a Bruxelles. Il bruco, insomma, è diventato farfalla.
In questa metamorfosi, gioca un ruolo non irrilevante l’apprezzamento della gente. Il premier è stimato e non solo nell’orticello della sua patria dauna. Ciò che piace al «popolo», ormai una specie di categoria dello spirito, è la sua dissonanza con la bagarre che ci circonda. Conte procede controcorrente: nell’epoca in cui tutti gridano, lui parla piano. Nell’epoca in cui l’uomo di Stato è tenuto a dilagare sui rotocalchi, lui se ne tiene lontano. Nell’epoca in cui la politica ragiona sulla lunghezza di un tweet, lui usa Facebook per spedire al «caro Matteo» una lettera chilometrica che nessuno, c’è da giurarci, avrà letto per intero (chi vi scrive boccheggiava già a metà) ma tutti dicono di aver apprezzato. Sembra non aver senso, ma funziona. Gli esperti del marketing la chiamerebbero «strategia controintuitiva» ed è una fra la più gettonate.
Anche in Europa lo stilema «contiano» ha dato i suoi frutti: niente grida, niente gesto delle corna, non ha fatto aspettare la Merkel (Berlusconi) né si è presentato al suo cospetto con il giubbotto abbottonato male (Renzi). Trump, probabilmente incuriosito dall’altro da sé, lo ha apprezzato fin da subito, gli altri ci sono arrivati col tempo. E il premier ha giocato bene le proprie carte, regalando alla tedesca Ursula Von der Leyen quella manciata di voti decisiva per la sua elezione alla guida della Commissione europea. Per alcuni, ha venduto se stesso e il Movimento alla vecchia Unione teutonica e oligarchica, tradendo ogni afflato sovranista. Per altri, ha semplicemente dato un ruolo alla propria compagine, quella pentastellata, che da settimane vagava per Bruxelles senza sapere dove fare l’uovo. Comunque la si veda, il premier ha promosso se stesso, dandosi un ruolo e irrobustendo il fortino da cui lanciare i futuri attacchi.
Come vorrà spendere i crediti accumulati e, soprattutto, l’affetto conquistato, lo vedremo a breve. C’è chi giura che sia pronto a lanciare un partito. E sarebbe un errore, lo stesso in cui sono caduti tanti. La popolarità di Conte, per propria natura, assomiglia a quella di Mattarella, non a quella di Salvini. La sua forza non è nell’interventismo ma nella capacità di segnalarsi, in virtù della pacatezza di cui è capace, come porto sicuro nella tempesta. Se l’impressione sia fondata o infondata poco importa, ma il segreto del suo successo è tutto lì. Se dovesse dismettere i panni, un po’ ingessati, dell’uomo delle istituzioni per indossare quelli del capopopolo che, in maniche di camicia, tuona nelle piazze perderebbe molto del suo fascino. E se invece decidesse di continuare a sussurrare, anche da candidato, i vari Salvini, Di Battista, Grillo, Renzi lo seppellirebbero con quel gridare di cui sono maestri. Il bruco è diventato farfalla, certo. Ma ora dovrà stare attento a non avvicinarsi troppo a quella luce che rischia di tentarlo. E di bruciarlo.