Portiere o portinaio, al netto delle indicazioni lessicali dell'Accademia della Crusca, era la figura che incarnava un servizio condiviso tra gli inquilini dello stesso palazzo. Oggi è sempre più raro incontrarlo, acquattato nel suo «gabbiotto» all'ingresso del portone o alle prese con la posta da smistare. Ognuno penserà a ritirare la corrispondenza per conto proprio e qualcuno che lo sostituisca a origliare bisbigli da pianerottolo non mancherà di certo. Vuoi che non ci sia un vicino ficcanaso? Tra crisi, necessità di tagli alla spesa e condomini trasformati in dormitori, il portiere ormai è diventato un lusso che in pochi possono ancora permettersi.
Ma non è solo una questione puramente economica. Le esigenze dei residenti sono cambiate. Nei nostri palazzi c'è lo specchio di ciò che sta avvenendo sul territorio: i giovani vanno via e restano gli anziani. Spesso in perfetta solitudine. Trovi l'ottantenne vedovo, la nonna claudicante, reduce dall'operazione al femore, il pensionato a prova di decibel. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che necessitano di compagnia e cure.
I più fortunati hanno il sostegno costante di figli e nipoti, i più facoltosi potrebbero permettersi una badante. Un momento, quali facoltosi? In Basilicata la pensione media è di 580 euro e per garantirsi la presenza in casa di un'assistente bisogna sborsare non meno di 1.100 euro al mese. Più vitto e alloggio. Considerazione alla base di un’idea imprenditoriale da cui è nata una sperimentazione a Potenza che sta riscuotendo interesse: la badante condominiale. Non la classica «dama di compagnia», la Irina o Svetlana che sui conti (propri) è più sveglia di un broker navigato, ma una operatrice socio sanitaria qualificata, in grado di intervenire anche per urgenze sanitarie. D'altra parte, l'anziano da assistere non è solo malato di solitudine. Il progetto lo sta portando avanti Michele Di Tolla, titolare della Sepim, società di multiservizi, registrando adesioni in diverse zone del capoluogo lucano e puntando l'attenzione soprattutto sui piccoli paesi, dove il potenziale bacino d'utenza, tra emigrazione e scarsa natalità, è consistente. L'assistenza condivisa con gli altri inquilini permette al pensionato di utilizzare la badante per il tempo di cui ha realmente bisogno e consente alla professionista di ottimizzare il proprio lavoro non perdendosi in spostamenti da una parte all’altra della città, svolgendo anche le stesse mansioni per più persone contemporaneamente come fare la spesa, cucinare, pulire casa, pagare le bollette, andare in banca o acquistare i farmaci necessari. Il tutto si traduce in un risparmio.
L'esperienza potentina è agli albori e, come dicevamo, sta calamitando consensi. Magari si otterranno quei risultati che altre città italiane non hanno registrato. E magari si riuscirà a centrare l'obiettivo laddove ha fallito perfino il nuovo «contratto collettivo nazionale per i dipendenti dei proprietari di fabbricati» al cui interno è prevista, al fianco di custodi, la badante di condominio. Prevista, certo, ma sfidiamo i lettori a indicarci un'amministrazione condominiale che abbia ingaggiato una figura professionale di questo tipo. La debolezza della proposta, probabilmente, è soprattutto di natura culturale, come segnala un sondaggio di Cergas Bocconi su un campione di anziani non autosufficienti: solo il 24 per cento si è dichiarato disponibile a condividere una badante con altre famiglie all’interno del proprio condominio o quartiere. C'è poi un aspetto organizzativo da tenere conto, con la badante che deve essere reclutata, coordinata e presidiata nella sua attività. Chi deve occuparsene? È molto difficile trovare famiglie disposte a farsi carico, anche economicamente, di questa incombenza. Lo sa bene la stessa Sepim che risolve il problema alla radice perché è la società che «ingaggia» la professionista, la valuta e la controlla nelle sue mansioni quotidiane, spalmando il costo su tutti i condomini. Assistiti, felici, contenti e con qualche euro in più in tasca.