Venerdì 07 Novembre 2025 | 14:16

Ecocidio, un delitto che resta impunito

Ecocidio, un delitto che resta impunito

 
Alessandro Miani

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Alessandro Miani

Ecocidio, un delitto che resta impunito

Oltre 9 milioni di morti premature sono attribuibili all’inquinamento e al degrado ambientale

Venerdì 07 Novembre 2025, 10:22

Ogni anno, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, oltre 9 milioni di morti premature sono attribuibili all’inquinamento e al degrado ambientale. È un numero superiore alla somma delle vittime di guerre, violenze e pandemie. Dietro questa realtà drammatica, emerge con forza un concetto destinato a ridefinire il nostro rapporto con la natura: l’ecocidio. Si tratta della distruzione grave, diffusa o duratura degli ecosistemi, tale da compromettere la sopravvivenza delle comunità umane e non umane che da essi dipendono. L’ecocidio non è una teoria, ma una realtà tangibile. Lo vediamo nelle fuoriuscite di petrolio che contaminano oceani e coste, nella deforestazione dell’Amazzonia che procede a ritmi superiori a 10mila km² l’anno, negli sversamenti tossici che rendono i fiumi inutilizzabili. Ogni volta, il prezzo lo paga la salute pubblica. Secondo la Lancet Commission on Pollution and Health, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo costa circa il 6,2 % del PIL globale, con impatti devastanti in termini di malattie croniche e spesa sanitaria. A livello globale cresce la richiesta di riconoscere l’ecocidio come crimine internazionale.

L’inserimento nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, accanto a genocidio e crimini contro l’umanità, è oggi sostenuto da giuristi, scienziati e organizzazioni civili. In Francia, dal 2021, l’ecocidio è riconosciuto come «delitto contro l’ambiente» e punito con pene fino a 10 anni di carcere. In Belgio e nei Paesi Bassi si stanno discutendo proposte simili, mentre il Parlamento europeo ha approvato nel 2023 una risoluzione per il riconoscimento del crimine ecologico a livello comunitario. Ma chi paga davvero il prezzo degli ecocidi? Non le grandi aziende che li causano, spesso protette da cavilli giuridici o coperture assicurative. A farne le spese sono le persone: bambini che respirano aria tossica, famiglie che vivono accanto a impianti contaminati, agricoltori costretti ad abbandonare terre avvelenate o prosciugate. In Italia, l’ISPRA stima che la bonifica dei siti contaminati costi oltre 30 miliardi di euro, una cifra che ricade in gran parte sulle casse pubbliche. I profitti restano privati, ma le perdite sono collettive. Esistono tuttavia strumenti efficaci per invertire questa rotta. Il principio «chi inquina paga», sancito dall’Unione Europea, afferma che i costi ambientali debbano gravare su chi li genera. Alcuni Stati stanno adottando sistemi di cauzione ecologica come fondi obbligatori che le aziende devono accantonare per coprire eventuali danni futuri.

Secondo la Banca Mondiale, l’applicazione rigorosa di questi meccanismi ridurrebbe del 30% il rischio di disastri ambientali. La prevenzione è l’unica via sostenibile. Un rapporto dell’OCSE dimostra che destinare l’1% del PIL a tecnologie pulite e bonifiche consentirebbe di tagliare le emissioni inquinanti del 20% e generare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. In Svezia, l’economia circolare ha portato i rifiuti in discarica a scendere sotto l’1%, mentre in Costa Rica la riforestazione ha raddoppiato la copertura boschiva dal 26% al 52% in meno di trent’anni. Invertire la rotta non solo è possibile, ma è già realtà in molte parti del mondo.

Eppure, la tutela ambientale richiede anche una rivoluzione giuridica. Inserire l’ecocidio nei codici penali significherebbe non solo perseguire i responsabili, ma anche affermare che la salute della Terra è parte integrante della salute umana. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ricorda che oltre il 24% delle malattie globali è legato a fattori ambientali. Ignorare i crimini ecologici significa alimentare una catena di sofferenze che colpisce in primo luogo i più fragili. Il riconoscimento dell’ecocidio non è solo una scelta legislativa, è una presa di posizione culturale. Vuol dire affermare che la distruzione della natura è una minaccia esistenziale e non più tollerabile. Significa ribadire che il prezzo delle devastazioni ambientali non può continuare a essere pagato da chi le subisce, mentre i responsabili restano impuniti. Ma significa anche premiare chi difende gli ecosistemi, chi rigenera le terre, chi innova in modo sostenibile. L’ecocidio rappresenta l’apice di una crisi ambientale già in atto. Ma la storia insegna che ogni cambiamento nasce da una coscienza collettiva. E oggi, questa coscienza cresce, nutrita da dati scientifici, leggi emergenti e movimenti sociali sempre più forti. La domanda non è se possiamo permetterci di riconoscere l’ecocidio. È se possiamo permetterci di non farlo. Perché la vera giustizia non è contare i danni, ma evitarli. E chi devasta, inquina e distrugge deve finalmente assumersi la responsabilità. Perché il pianeta non è una risorsa infinita, è la nostra sola casa.

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