Passano gli anni, ma che fa. Festeggia Luca Mazzone, festeggia pure. A 53 anni, tre medaglie messe al collo nell’handbike (H2) al termine della paralimpiade di Parigi. Una più bella dell’altra: l’argento nella crono, la corsa contro il tempo, inatteso e per questo ancor più prezioso, il bronzo nella prova in linea in uno scenario infernale con freddo e pioggia e infine l’argento nella staffetta in cui ha dimostrato di essere il riferimento per la squadra azzurra.
La favola parigina è arricchita anche dalla pagina di essere stato il portabandiera dell’Italia. La storia di Luca Mazzone non è per nulla ai titoli di coda. Alla terza partecipazione alle paralimpiadi nell’handbike l’atleta di Terlizzi, come nelle precedenti due edizioni, è salito sempre sul podio.
Mazzone, oramai non ci sono più parole per definirla dopo l’ennesima impresa paralimpica. Qual è il segreto per essere un vero e proprio marziano dell’handbike?
«Se fossi in grado di conoscere il segreto per mettere al collo medaglie ogni volta lo metterei fuori. È frutto di tanto tanto lavoro sia sotto il profilo degli allenamenti che della predisposizione della bicicletta. Non dimentichiamo che a Gaslgow ai campionati del mondo ho rotto il telaio e quest’anno ho tribolato non poco per trovarne un’altro con delle caratteristiche tali da non ripetere lo stesso errore commesso in gara in Scozia. A differenza dei ciclisti noi non abbiamo tante aziende che costruiscono telai di handbike per altro molto costosi. Nessuno voleva aiutarmi ad acquistarne uno nuovo e così in Coppa del Mondo a Ostenda e Maniago sono sceso in gara con un telaio che non usavo sempre per giunta poco performante in curva».
Una grossa mano l’ha data il Circolo Canottieri Aniene.
«Devo ringraziare questo sodalizio blasonato. Mi ha messo a disposizione una nuova bici e mi ha concesso di svolgere due mesi di preparazione in altura in Abruzzo con temperature decisamente migliori rispetto a quelle della mia terra. Il lavoro paga soprattutto se fatto con esperienza e con metodi giusti, merito anche dell’allenatore che ho ingaggiato quest’anno, Michele Maggi, con cui si è creato subito il giusto feeling».
Due argenti e un bronzo. C’è da essere molto soddisfatti.
«Direi più che soddisfatti. Questa paralimpiade è iniziata con la grande gioia di essere portabandiera. Sono andato sul podio al termine di tutte le tre gare. Purtroppo l’età avanza e anche i tempi di recupero non sono gli stessi di quando ero più giovane. Florian Jouanny e Sergio Garrote Munoz sono più giovani di me e hanno una marcia in più. Questo è lo sport e se non fosse così sarebbe noioso. La medaglia d’argento nella staffetta l’abbiamo conquistata con i denti perché sulla carta gli Stati Uniti, giunti terzi, erano favoriti mentre la Francia era inarrivabile. Indimenticabile il secondo posto nella crono in cui ho battuto il beniamino di casa Jouanny più giovane di me di 22 anni. Vorrei essere il modello per tanti giovani affinché si avvicinino allo sport anche per puro benessere fisico».
Mennea, la stella del Sud, è uno dei suoi modelli da seguire per determinazione e lavoro soprattutto di testa.
«È un pugliese come me e sono molto legato. L’ho conosciuto e abbiamo parlato tanto insieme. Ho letto il suo libro e la sua storia mi è stata di insegnamento. Ha sempre messo al primo posto la preparazione fisica. Solo con il lavoro si raggiungono risultati. Curava molto l’alimentazione e io in valigia ho messo due pezzi di Parmigiano Reggiano e prima delle gare ne ho mangiato un po'».
Tra le varie Paralimpiadi alle quali ha preso parte, forse quella francese ha fatto vivere maggiori emozioni?
«Ogni edizione ha avuto una sua storia. Le paralimpiadi in cui non ho preso medaglie sono servite per avere maggior mordente per le altre. Rio, la prima nel paraciclismo, in cui ho vinto l’oro individuale resta indimenticabile. Sono però legato a tutte le 11 medaglie vinte perché frutto di lavoro e di tante ore passate da solo con la bici».
La stagione non è finita. Ci sono i Mondiali...
«Si corre a Zurigo dal 23 settembre per cui non potrò riconsegnare il tricolore al Quirinale dal presidente della Repubblica Mattarella. C’è la staffetta che mi aspetta alla rassegna iridata dove serve il mio contributo per la squadra azzurra. La voglia di riposare e di mangiare qualcosa in più è forte ma bisogna tener duro e farsi trovare pronti per il Mondiale dove non voglio sfigurare».
Cosa ha provato a sfilare sugli Champs-Élysées con il tricolore?
«Un'emozione grandissima essere davanti a tutta la delegazione degli atleti. Un orgoglio infinito portare il tricolore e ricevere il saluto di Mattarella. Il coronamento di un sogno. Questa paralimpiade ha un sapore particolare non solo per le medaglie ma per essere portabandiera. Sono arrivato a Parigi da solo con il meccanico Vincenzo Bonasia e il mio fisioterapista. Ho stentato a credere che fosse tutto vero e più volte mi sono chiesto se fossi proprio in questo ruolo. Poi ho realizzato che ero io».