Dal 4° posto della Olimpiadi di Rio 2016 al bronzo di Budapest 2023 passando per il 3° ai mondiali di Londra 2017 fino all’indimenticabile oro di Tokyo 2020. Il cielo di Antonella Palmisano è costellato di successi connotati da una sconfinata determinazione capace di superare anche l’impoderabile. I mondiali di Budapest hanno restituito una marciatrice finalmente radiosa, avvolta nella sua semplicità. Ripercorriamo i momenti più significativi del suo mondiale.
Cosa prova a luci spente a Mondiali conclusi?
«A luci spente, durante la giornata, quando guardavo le gare in tv o come quando sono arrivata al traguardo della mia venti chilometri ho continuato a ripetermi e a chiedermi come avessi fatto, come ci fossi riuscita! Siamo anche capaci di non essere contenti di una medaglia o dell’esatto contrario ma non riusciamo mai a vedere l’altra faccia della medaglia, questi due anni hanno significato tanto per me, ho vissuto momenti più bui che altro, momenti che mi hanno stesa e mi hanno anche fatto pensare di smettere. All’inizio sentivo la frustrazione, dopo Tokyo non riuscivo più a vedere la soluzione al fatto di vedere le gare dalla panchina. Grazie al lavoro fatto con Tony, il mio mental coach, ho capito che oltre all’atletica avrei dovuto vivere il contorno, la famiglia, il marito, il cane, le passeggiate, le telefonate con le amiche. Mi stavo isolando dal contesto esterno e non riuscivo più a vedere la luce ma grazie a questo percorso mentale son tornata a vivere un po’ dando il mio massimo ogni giorno e nel migliore dei modi, giorno dopo giorno».
In fondo al tunnel è riapparsa la luce, una luce color bronzo.
«Sono riuscita ad arrivare fin qui nonostante i tanti momenti bruttissimi e sono riuscita a ottenere questo risultato, per me incredibile, e non è giusto dire che questa medaglia vale oro. Vale il bronzo per me perché le prime due sono state forti, ho un rapporto bellissimo con la Perez (la spagnola Maria, vincitrice della 20km mondiale di Budapest), mi ha scritto sempre dopo l’intervento e mi ha cercata trasferendomi la sua forza e sono contenta che abbia vinto lei e che non abbia avuto problemi. Semplicemente ha fatto quello che avrei voluto fare io, se siamo amiche fuori è giusto che sia così e la mia medaglia vale un bronzo dietro cui c’è tanto tanto altro e sono contenta così».
Il suo futuro ora forse appare più limpido, a tinte meno fosche che in un recente passato?
«Nuove frontiere mi si sono aperte, ho allargato la mia visione mentale dopo aver avuto tanta paura di non riuscire ad affrontare la gara, paure che mi sono portata dietro per un po’ di chilometri e sono contenta di essere riuscita a gestire la situazione, questo anche grazie alle infiltrazioni fatte dal dottor Napoli. Ora riesco a marciare e mi si è aperta una visione mentale che mi spinge a pensare che posso farcela contro quel mostro e che posso domarlo».
Più forte anche del destino. Al posto suo una atleta «normale» non si sarebbe più rialzata, lei invece lo ha fatto. Rifarebbe tutto?
«Nonostante l’assenza dell’allenamento, nonostante accusassi un evidente deficit di potenza, quello che serve nel finale di gara per capirci, è così è stato, sono riuscita ancora ad essere me stessa nonostante un cambio di passo delle mie dirette avversarie portato nel finale e di fronte al quale ho lottato, fino alla fine. Anche la caduta in gara mi ha procurato una incredibile scossa di adrenalina, avevo la scusa per fermarmi ma non l’ho fatto. Quando ho visto l’asfalto ho rivisto il buio rivivendo per intero gli ultimi due anni, mi sono vista a testa in giù ma poi è stato un attimo, quando mi sono rialzata un brivido ha percorso tutto il mio corpo e mi sono detta: valli a riprendere, ce la puoi fare e così sono andata avanti senza scuse».
Lo sport unica palestra di vita, musa ispiratrice nella vita di tutti i giorni.
«Il mio mantra nel mio percorso da atleta, per quello che mi ha insegnato lo sport è il concetto che si cade ma si può trovare il modo per rialzarsi, non siamo di pietra, possiamo fallire ma dobbiamo perdonarci di fronte a quello che la vita ci pone davanti».
Ed ora sguardo al futuro forte di una medaglia color bronzo alla quale rimarrà aggrappata, grata per sempre per averla restituita alla vita.
«Questa medaglia è un po’ di tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni, da Lorenzo, mio marito, che nonostante la sua attività di allenatore dei più giovani ha imparato a credere in quello che faccio. Ha capito che do sempre il massimo e non posso fare i miracoli ma in gara ho dimostrato a volte di inseguire anche l’impossibile. Lui sa dirmi sempre la parola giusta nel momento giusto e questa medaglia va anzitutto a noi due, per tutti i viaggi verso gli ospedali fatti cercando di risolvere il problema, e va anche al mio allenatore per aver creduto in me, gli ho dimostrato che l’atleta c’è ancora e si può sognare in grande per Parigi, ed infine al mio gruppo di allenamenti che è stato con me nella mia sfida quotidiana».