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Alberto Selvaggi
28 Maggio 2017
di ALBERTO SELVAGGI
Mi sono stati rubati un paio di calzini color ciclamino, marca «Pompea», modello donna 39-40. Erano custoditi all’interno di una Nissan Micra 1500 diesel cinque porte di colore nero, sparita anch’essa con l’indumento sudato. Per cui se qualcuno dovesse avvistarli, alle zampe di negri furtivi magari, è pregato di avvisare i Carabinieri di Polignano a Mare.
Ero partito da Bari alle 12 con costume Roberto Ricci modello «Love & Peace» già innestato (sono tutti dati che potrebbero risultare utili agli investigatori). Imboccando il varco tra le nuove staccionate in stile Sud Tirolo ho raggiunto il parcheggio della cala di ciottoli Ponte dei Lapilli, poco prima di Cala Paguro (Paura), cioè dell’ingresso del paese. Ho sfilato le scarpe Lotto bianco avariato (ehi, ritrovatemi pure queste!), e i calzini ciclamino, posandoli (che schifo) sul sedile posteriore dell’auto intrisa di mare. Ho calzato le Crocs, prensili sugli scogli a pugnale, e ho raggiunto la punta estrema, a destra guardando l’infinità.
D’attorno non c’era traccia di infezione umana. Soltanto un amico di Polignano che si apprestava ad andarsene: «Guarda che fortuna che c’hai, tutto questo ora è tuo, sei l’unico proprietario, non ci sta nessuno manco di fronte né sulla spiaggia». Io, l’acqua, la roccia e ciò che rimane della mia anima.
Ho scattato foto, inviandole su WhatsApp con offese ai Barbieristi, ricchi e potenti habitué di uno storico figaro di Bari: «Fottetevi, ricottari». In mare avevo quasi caldo, avvezzato ai bagni invernali. Risalito, ho riposto le pudenda in un costume asciutto azzurro Rrd (anche questo può essere un elemento prezioso), stessa marca. Sdraiato in posizione «savasana» («del cadavere», pancia all’aria), ho focalizzato impressioni di morte: come cambia la nostra prospettiva nella consapevolezza della fine della vita, il camposantiere di Polignano, Giovanni, la sua Vespa celeste metallo, le sigarette strette nel sorriso del predecessore Ignazio, due vigilesse bionde che mi attesero oltre orario di sera fuori dal cimitero…
Ho dormito? Ho pensato? È lo stesso: che cambia? Mi sono voltato e ho riconosciuto una crapa: uno dei temibili Urlatori, cioè i giocatori di carte, che stavano arrivando alla spicciolata. Lontano Paolo, un addome parlante scolpito da Prassitele. Qualche turista. Alle 15 i Lapilli si ripopolavano. Altro bagno. Poi: «Beh, ciao, ragazzi, me ne vado… Ma…». Nella tasca sinistra mancavano 40 o 140 euro: memoria fallace. Nella destra c’era tutto lo spicciolame. «Sei sicuro che li avevi?». «Sì. Penso». «Hai visto qualcuno in giro?». «Manco un’ombra». «Hai dormito?». «Non credo, mi sono giusto steso». «Ma se russavi che si sentiva fino a qua!».
Risalendo la scogliera ho incontrato l’amichetto Ermanno: «Com’è, hai perso i soldi?». Raggiunto il parcheggio ho notato che la mia auto si era smaterializzata. Ho strizzato gli occhi ma, stranamente, non è ricomparsa. Allora ho infilato la manina nella tasca destra della giacca: mancava la chiave. Qualcuno aveva rubato i calzini ciclamino e – probabilmente a sfregio – anche l’involucro Nissan Micra 1500 in perfetto stato, non assicurata contro il furto, detta «U’ sciumm’» (La gobba) da Peppino del Bar di via Roma. Ho immaginato le facce dei ladri, visti i calzini appena maleodoranti, in bella mostra sul sedile con a piè le scarpe. Cosa avranno pensato?
Dal vuoto è sbucato un turese, vecchio amico del mare: «Alberto, quindi la Micra nera che ho visto passare alle ore 14.10 era tua, non come la tua! Arrivando ho visto un immigrato, negro, ma un poco sbiancato, tipo mulatto, con un largo spazio fra gli incisivi, che era al volante e davanti un altro, tipo staffetta, con macchina grigia metallizzata». Ermanno stava male, schiumava: «Porca put..! Non ci posso credere». Ma io, savio, ho fatto notare: «E pensate che si sono fregati la macchina con i calzini dentro».
Ermannuccio mi ha accompagnato in caserma in auto, inacidito al Ph massimo: «Non te ne frega niente che ti hanno rubato la macchina, Alberto?! Stai là tranquillo, sembri quasi contento! Sei pazzo!» «Coraggio, Ermanno, supererai questo momento».
I militari per poco non ci arrestavano: lui è stato cacciato dalla stanza («per cortesia, si accomodi nel salottino») causa agitazione cinetica e lo straparlare («tanto lo so che sto sul cazzo a tutti»). E io pure me la sono cavata: «Selvaggi, qual è la targa della sua auto?». «Uh… D… 4… Eh…». «Abbiamo capito, gliela trovo io. Che assicurazione ha?» «...» «Il nome» «Sai, sì, o Unipol. Brigadiere, comunque in auto c’erano pure dei calzini, tipo lillà, violetti…». «Sintetizzi sulle cose importanti, la prego. Che mestiere fa?». «Uh… Cioè, scrivo, così…». «Il mestiere!». «Vabbè, giornalista». «Ah».
Ho lappato lo spumone al Bar Minerva in piazza. Poscia, il solito gelato al Bar Turismo, ove è comparso mio fratello Valeria (è femmina, ma la soprannominò «tuo fratello Valeria» Peppino del Bar), sgridandomi assai: «Ma sei un defo?! Ma sei uno scimunito?! Ti hanno rubato la macchina e non ti incazzi almeno un poco?! Eeeh?! Sto male io e tu no!, mi fai agitare: ci svaligeranno tutte le case, ora ti staranno seguendo i ladri, le penso tutte!». E io: «Trattasi di negri. E pensa, cosa fantastica, avevo lasciato dentro l’abitacolo pure i calzini ciclamino usati». Perché, davvero, spero ne facciano buon uso.
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Commenti all'articolo
Moggiano
28 Maggio 2017 - 15:35
Grande, immenso Selvaggi... Ma mo che l'articolo l'hai fatto, quelli della Gazzetta ti danno una vettura sostitutiva oppure sene escono con un paio di pedalini? Magari usati e della moglie di qualche collega...
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