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Il viaggio cromatico di Mirko Signorile: la recensione del disco Trio Trip

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Il pianista Mirko Signorile

Mirko Signorile (foto Fb)

Il pianista pugliese ha pubblicato l'ultimo album, inciso con Francesco Ponticelli (contrabbasso e basso elettrico) ed Enrico Morello (batteria), ed edito dalla Auand di Marco Valente

Sabato 13 Ottobre 2018, 18:30

È una sorta di viaggio «cromatico» quello che il pianista Mirko Signorile propone in Trio trip, il suo ultimo disco edito dalla Auand del biscegliese Marco Valente. Un viaggio articolato attraverso undici brani che - in trio con Francesco Ponticelli al contrabbasso e basso elettrico ed Enrico Morello alla batteria - Signorile propone agli ascoltatori scegliendo dei titoli legati alle suggestioni di singole luci o colori, quasi a voler descrivere l’alba di un nuovo mondo sonoro nel quale far confluire tanto le radici jazzistiche – sempre presenti, pur se spesso occultate – quanto quel linguaggio minimalista ricco di suggestioni visive che ormai da tempo definisce in maniera decisa la sue cifra espressiva.
Ecco allora che il viaggio prende le mosse dal tema cantabile e ridondante di The Blue Ritual, nel quale non è difficile cogliere lontani echi di Esbjorn Svensson (paradossale che l’influenza di questo pianista si faccia sentire ancora a dieci anni dalla scomparsa) per poi passare al danzante Indigo Garden, il cui ritmo accattivante fa da base per alcune sapide impennate jazzistiche. La melodia malinconica di
Black Forest sembra voler proporre un ideale carillon minimalista prima di aprirsi, a metà brano, in un episodio più vivace, mentre il quieto Golden Pearl si dipana attraverso concatenazioni di note che non cercano mai evoluzioni complesse. Un sinuoso gioco timbrico, con qualche spolverata di elettronica, caratterizza The Red Dot, seguito da The Colourful Tuner nel quale invece il tema viene eseguito da pianoforte e basso ora all’unisono, ora con qualche breve contrappunto, con dei moduli melodici che si ripetono inframezzati da aperture di taglio più cantabile nelle quali si colgono lontani echi balcanici e profumi di jazz.
Si presenta come un brano d’atmosfera Orange City, cui fa quasi da bilanciamento il controllato crescendo emotivo di The White Story, dal tema semplice e cantabile. A Pink Lighthouse è malinconico come un incontro d’addio, con la sua melodia dolente che nella parte finale si impreziosisce dei voli rapsodici del pianoforte, mentre Trio Trip in Violet Flow propone un singolare intreccio fra tema modale e ritmica dagli aromi post hip hop; è un brano aspro, ma gustoso, dal rango finalmente più jazzistico, come a voler rassicurare una parte degli ascoltatori che la strada maestra non è stata smarrita.
L’album si conclude con l’unico brano non originale in scaletta, Ironic di Alanis Morissette, del quale Signorile esalta la melodia affrontandola a mo’ di suggestivo gospel strumentale.
In conclusione, un disco che ribadisce la cifra compositiva e solistica di Signorile, ormai personale e riconoscibile, ma soprattutto incline a parlare la lingua dei nostri giorni, aprendosi a un pubblico sempre più ampio e, soprattutto, dai gusti onnivori e dalle frequentazioni talvolta lievemente eclettiche.

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