C’è chi «Analisi uno» la ricorda come un incubo universitario, e chi la trasforma in un viaggio dentro sé stesso. Gallicchio, cantautore di Ceglie Messapica, sceglie proprio questo titolo per il suo EP d’esordio, disponibile dal 10 ottobre su tutte le piattaforme digitali: sei brani che raccontano il potere della leggerezza, la nostalgia, le piccole inadeguatezze e le emozioni più sincere. Un lavoro di diciannove minuti esatti, intimo ma mai serioso, in cui arrangiamenti essenziali e testi diretti diventano il tramite per “dare del tu” a chi ascolta. L’EP nasce alla fine del 2024, da «una manciata di idee e qualche brano monco», come racconta l’artista. Poi tutto si ricompone in un piccolo percorso di autoanalisi che passa per amicizie lontane, amori finiti, notti di pioggia e ricordi che restano.
«Analisi uno», il primo esame-ostacolo che molti studenti incontrano. Gallicchio, perché questo titolo e come sviluppa l'«analisi delle emozioni»?
«Il titolo è un piccolo filo rosso tra la mia professione, quella di ingegnere, e ciò che invece ho cercato di fare con queste sei canzoni, ossia un’indagine introspettiva. L’album si muove partendo dall’inadeguatezza; questa sposta il pensiero prima su un’amicizia passata, poi su un amore in bilico e infine andato via. Si passa quindi alla nostalgia e alla malinconia, fino al risvolto positivo dell’amore che resta, attraverso il concetto dell’affidarsi. Chiaramente nessuna di queste fasi è sostitutiva dell’altra, bensì va ad arricchirla».
Come riesce a mantenere questo equilibrio tra leggerezza e profondità?
«Sono dell’idea che la maniera con cui guardiamo al mondo faccia la differenza sul nostro stato d’animo e spesso è proprio uno spartiacque tra il ritenere se qualcosa che ci è successa sia completamente da buttare o se magari può insegnarci qualcosa. Ritengo che la leggerezza sia in grado di pesare nel giusto modo il nostro vissuto, senza che questo venga svuotato della sua profondità. Si può essere leggeri anche leggendo Kant o Tolstoj, dipende dai nostri occhi».
Tra le emozioni e i temi del lavoro c'è l'amicizia perduta, la distanza, come canta in «Ciao Fulvio»: c’è un’esperienza personale dietro questa canzone?
«“Ciao Fulvio” è, insieme a “Cosa sai di me”, la canzone più personale che abbia mai scritto. Nel caso di Furio/Fulvio/Pietro tutto il testo è legato ad un’amicizia che mi riguarda e vuole essere un tentativo di esorcizzare il malessere rispetto alla situazione. Chiaramente anche negli altri brani parlo di me o comunque ipotizzo me stesso all’interno del contesto che ho immaginato, però magari lo spunto è esterno».
Lei è anche ricercatore universitario e ballerino di Lindy Hop: quanto di queste due passioni entra nel modo di scrivere e di suonare?
«Ogni cosa che faccio influenza la fase di scrittura. La ricerca universitaria mi sprona sempre a trovare qualcosa di nuovo, che non sia banale e che allo stesso tempo non sia inutile. Il Lindy Hop è una passione abbastanza recente, che mi ha insegnato a vincere tanti limiti caratteriali, tra cui la timidezza».
Si definisce «un cantautore un po’ ironico e un po’ scanzonato». Da quali artisti o esperienze trae ispirazione?
«Ho sempre ascoltato tantissima musica, dai gruppi britannici storici degli anni ’70, al cantautorato d’oltreoceano e a quello di casa. La mia dimensione è probabilmente più vicina a quest’ultimi, quindi citerei Dylan, Tom Waits, Guccini, Brunori, De Gregori, Niccolò Fabi ecc e magari anche qualcosa più di nicchia come Giovanni Truppi, Emanuele Colandrea, Gnut e Cristina Donà (a cui per altro ho voluto dedicare il ritornello di uno dei brani)».
Il suo percorso artistico sembra molto legato alla Puglia. Quanto influisce la sua terra nel modo di fare musica?
«La Puglia è il posto dove scrivo e dove passo il mio tempo da oltre 30 anni. È ancora un luogo dove è possibile prendersi un momento e stare con se stessi e dove basta uscire per strada e farsi travolgere da un’umanità incredibilmente variegata».