Confessione, battaglia, rinascita. Queste le tre parole che descrivono l'universo di «Cenere Zero», nuovo libro autobiografico di Fabio Salvatore, pubblicato da Love&Co., marchio editoriale di Compagnia Editoriale Aliberti, che affronta con spietata sincerità la devastazione fisica e mentale della fibromialgia e della depressione, senza cedere mai al vittimismo, ma trasformando il dolore in una voce di rabbia, fede, musica e carne.
Fabio Salvatore, pugliese, regista, autore e opinionista mette in queste pagine la sua fragilità che si fa coraggio, un racconto che dà voce a tutti quelli che una volta nella vita hanno detto «Sto bene» mentre dentro si stavano sbriciolando, e hanno trovato nella parola l’unico modo per non scomparire. E la musica ha un ruolo fondamentale per la rinascita di Fabio, che nelle sue righe fa risuonare canzoni, respiri trattenuti, stanze buie e spiragli di luce, con una scrittura pulsante, quasi musicale, appunto, che sceglie di ballare per non crollare.
Salvatore, quanto è difficile dare voce a una sofferenza invisibile?
«Dopo undici anni di silenzio editoriale, da quando nel 2008 avevo scritto "Cancro, non mi fai paura", volevo dare un volto a questo dolore, perché credo che chi riesce a buttare fuori le cose con la scrittura faccia un passo avanti nella vita. È vero, si scrive per se stessi, ma è un grande aiuto anche per gli altri, per chi vive situazioni simili. La parola "cancro" era tabù, la fibromialgia è una malattia grave di cui soffrono due milioni e mezzo di italiani (se aggiungiamo le loro famiglie arriviamo a dieci), ed è una malattia che è diventata invisibile perché fa comodo. È più facile lasciare chi soffre da solo e nel silenzio».
Nelle pagine racconta di aver vissuto momenti di profondo isolamento e disconnessione. Cosa l’ha salvata?
«Sono stato messo al muro, da solo nella mia camera con una finestra che prima era chiusa e oggi è spalancata. È una solitudine che arriva dai poteri forti ma anche dall'amico della porta accanto, quando ero in difficoltà, eppure la solitudine è una condizione che coinvolge tutti. Sicuramente non mi sono sentito aiutato dagli uomini di fede, che mi hanno tradito. Mentre ad aiutarmi ci sono state le parole, quelle di Alda Merini, e soprattutto la musica, che mi ha dato la forza di riconnettermi alle cose belle, e ho trovato sostegno in amici come Antonio Diodato o Achille Lauro che mi hanno spronato a farcela. I punti di riferimento oggi sono tutti cambiati».
Proprio la musica è una dei protagonisti silenziosi del libro, che ruolo ha avuto?
«Ci sono tante canzoni all'interno, playlist, ma alcune ho voluto provare a riscriverle secondo la mia dimensione, seguendo il "flow". Ho capito cosa spinge i trapper a esprimersi, noi spesso cadiamo in facili giudizi, non ci rendiamo conto del dolore che c'è dietro una scrittura, ma io ho sentito una voce dentro di me che voleva diventare musica. Ha sempre fatto parte della mia vita, in casa avevamo un'immensa collezione di vinili, ma oggi ho capito davvero cosa vuol dire».
Parlando di famiglia, sua madre emerge come figura salvifica, concreta...
«È la donna della mia vita, il mio porto sicuro: non mi ha mai giudicato, ha sempre accettato e mi ha insegnato che bisogna saper guardare le situazioni perché un giorno ti ci potresti trovare anche tu. Mi sento molto fortunato».
Musica, malattia: in queste pagine il corpo non è solo sofferenza, ma anche liberazione, danza, grido. Quanto è stato importante «abitarlo» nuovamente?
«Mi sentivo quasi avvitato su me stesso, come se vedessi il corpo completamente nudo nella sua fragilità, e me ne sono riappropriato con la danza. Vengo da una formazione artistica con Enzo Garinei, e ricongiungendomi al mio corpo, mi sono ricongiunto con me stesso, ho ritrovato la mia intimità e la mia direzione. Alla fine il messaggio è proprio questo: la vita merita di essere vissuta, la voglia di vivere non va mai messa in discussione. Adesso con il mio corpo sono tornato perfino ad abbracciare la gente, dopo anni che non lo facevo».
Quindi cosa vuole trasmettere a chi la legge?
«L'invito ad amarsi e a non permettere agli altri di dire cosa sia giusto o sbagliato per te. Le cose vanno vissute, l'amore ti salva, e soprattutto nonostante le delusioni oggi sono pronto a scendere in campo nell'arena della vita. Ho voglia di portare avanti questo progetto legato alla salute mentale, alla terapia, che è fondamentale, accendere un faro sulla battaglia contro la fibromialgia, e tornare a parlare della cosa più importante: l'amore».