«Emigrato perché qui lo Stato è sempre assente, ingiustificato». È un manifesto questa frase che si ripete nel brano del leccese Welo, in semifinale a Sanremo Giovani 2025. Un racconto di una partenza che non ha il sapore del sogno, ma quello della necessità, della sensazione che restare sia più complicato che andare. «Emigrato», già disponibile su tutte le piattaforme digitali, è un tassello speciale nella carriera di Manuel Mariano, questo il vero nome, che tornerà sul palco il 9 dicembre prossimo sperando di proseguire la strada verso l'Ariston. La fuga dal Sud di cui parla nella canzone non è un cliché, ma una realtà condivisa, raccontata con stile diretto e ironico e una serie di simboli potenti: la nonna come custode dei valori familiari, il vino come rito identitario, i trattori che sostituiscono i grattacieli, il lavoro in nero come condizione normalizzata.
Classe 1999, nel 2017 Welo fonda il collettivo 23.7, avvicinandosi all’emo-rap americano, per poi virare verso testi più crudi, diretti, fotografici. Poi il debutto da solista a cavallo tra il 2022 e il 2023 lo impone come una delle rivelazioni della scena urban, fino al primo EP, WELO WE 23, e a collaborazioni con nomi di peso come Enzo Dong, Mikush, fino ad arrivare a Guè. E poi l'impegno sociale costante: nei suoi video coinvolge ragazzi dei quartieri popolari, dando volto a storie che raramente trovano spazio.
Welo, è arrivato in semifinale: che sensazioni ci sono?
«Mi sento semplicemente carico, non vedo l'ora che arrivi martedì 9. La città mi ha dato un affetto che non mi aspettavo, sono emozionato in senso buono».
La storia di «Emigrato» non è autobiografica, perché lei di base non si è spostato da Lecce. Un racconto della realtà che la circonda?
«Per la musica mi sposto sempre ma non mi sono mai trasferito, ci ho provato per un mese ed è stato un incubo, ho bisogno di vivere nella mia terra. Mi sono ispirato ad amicizie, a storie che ho ascoltato, il dover essere costretti a lasciare anche le bellezze che abbiamo al Sud per andare a cercare un futuro migliore».
E secondo lei in che direzione stiamo andando? In futuro si potrà sperare di rimanere al Meridione anche a fare musica?
«Io dico che siamo sulla direzione giusta, e mi impegno ogni giorno, nel mio piccolo, per fare qualcosa. Quest'anno ho aperto a Lecce uno studio, specialmente per i ragazzi più giovani. Siamo in tanti oltre a me che stiamo cercando di investire sul territorio. Non succederà domani, ma siamo sulla buona strada. Quando mi capita di parlare con persone costrette ad andare via per studiare o lavorare, non le sento mai felici».
Lei ha sempre avuto a cuore la questione dei più giovani, ha fondato un collettivo, vuole essere un'ispirazione per chi sogna di avvicinarsi alla musica?
«Per me è una cosa fondamentale, nel senso che mi piace che un mio messaggio possa cambiare anche solo un minuto della giornata di un'altra persona. Provo, in base alle esperienze e al pensiero che ho sviluppato negli anni, a dire qualcosa di giusto. Non posso cambiare il mondo, ma penso che da piccolo mi avrebbe aiutato avere qualcuno che mi indicasse la strada da intraprendere per realizzare un sogno».
La sua famiglia come ha preso questa scelta di vivere di musica?
«Benissimo, ho un supporto enorme, tutti uniti per sostenermi. Siamo una famiglia nata un po' con la musica, mio fratello da piccolo cantava e rappava, mio padre è un grande ascoltatore, mi ha sempre educato alla buona musica. È una passione che ho respirato in casa. E ho sempre ascoltato un po' di tutto, Marracash, Guè, i Sud Sound System che sono stati delle leggende, Caparezza, e tanto cantautorato italiano».
Con Guè ha anche collaborato...
«È una di quelle cose che ogni tanto ti fermi e dici: l'ho fatto. È una bravissima persona, umile nonostante sia osannato da tutti. È stata un'esperienza veramente positiva, sono contento».
Quest'estate ha calcato palchi importanti, a Barletta l'abbiamo visto in apertura a Rose Villain e Fabri Fibra. Come vive la dimensione live?
«Quello è sempre il momento più bello, dove raccogli quello che hai seminato. Per quanto ancora non sia un artista che va davanti a tremila persone a cantare, anche vederne 50 o 100 intonare un tuo pezzo a memoria è come dire: "Ok, sto facendo qualcosa di buono"».
Qual è la cosa che le mancherebbe di più se si staccasse completamente dalla sua terra?
«Non succederà mai, ma mi mancherebbe sicuramente la serenità delle persone, l'accoglienza e l'educazione. A Milano la gente va sempre di fretta, vive per lavorare. Da noi la mentalità è diversa, meglio 100 euro in meno in tasca e un po' di tranquillità in più».
A prescindere dall'esito della semifinale, cosa si porta a casa da Sanremo Giovani?
«Mi sta insegnando l'impegno. Devi allenarti con la voce, svegliarti in orari diversi, cose banali che magari prima non facevo. Poi anche la competizione insegna. A prescindere da tutto è una grossa crescita per me».
Se potesse dire qualcosa al lei bambino che sognava di lavorare con la musica, cosa gli direbbe?
«Di fare quello che sente, anche gli errori, perché poi tutto si bilancia e arriva il risultato, la persona che sei. Non cambiare nulla. Questo direi».
















