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«Gesù Cristo», il rap barese di Hurreezy tra sacro e profano

«Gesù Cristo», il rap barese di Hurreezy tra sacro e profano

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

«Gesù Cristo», il rap barese di Hurreezy tra sacro e profano

Redenzione, flow e verità: il rapper racconta il peso delle sue venti vite, un grido dalla provincia al mondo intero

Giovedì 22 Maggio 2025, 07:00

BARI - Venerdì 23 maggio il rapper barese Hurreezy torna a scuotere le fondamenta dell’underground con il nuovo singolo «Gesù Cristo» (Giesse Entertainment Group/Scolaro Music Group), distribuito da Virgin Music Group. Un titolo che è già un pugno nello stomaco, una provocazione, ma anche una corazza: quella che indossa per raccontare il suo inferno personale con l’onestà cruda di chi ha smesso di fingere.

Il brano è una raffica di versi taglienti e immagini contrastanti. Lusso e redenzione, fede e perdizione, provincia e sogni metropolitani si intrecciano in una narrazione viscerale, senza filtri. Non solo un brano: una preghiera storta, un grido lucido in mezzo al rumore, il manifesto di una generazione che mescola sacro e sporco, e lo fa con stile. Tutti ingredienti che promettono fuoco per il prossimo album, atteso entro la fine del 2025.

Un titolo forte e provocatorio: cosa rappresenta questa figura nel contesto del brano?

«Di mio sono una persona credente, non credo nel sistema della Chiesa ma sicuramente in qualcosa che esiste e non percepiamo, qualcosa che ci aiuta e ci condanna allo stesso tempo. Gesù per me è il simbolo di tutto questo ma, in questo singolo, mi sono concentrato sulla mia collana: un bel Gesù Cristo diamantato con le sembianze di Tutankamon».

Nel singolo mescola sacro e profano, lusso e disperazione: quanto c’è di autobiografico in questo dualismo?

«Mi è rimasta la disperazione, a cui ritorno infatti al termine di tutti i dualismi fatti nel pezzo».

Ha dichiarato di aver «vissuto venti vite»: ce n’è una in particolare che sente di voler raccontare attraverso la musica?

«Se penso ad Hurreezy credo che abbia avuto un suo percorso che ancora continua ad evolversi, fatto di molti cambiamenti, soprattutto in flow e attitude. Sarebbe un percorso degno di essere raccontato, ma la vita che preferisco è sempre quella di Pierpaolo, magari descritta con “i modi” di Eazy, sempre sobri».

La sua scrittura ha una rabbia lucida e consapevole: è più una reazione al presente o un’elaborazione del passato?

«Non penso di essere particolarmente arrabbiato, quanto realista e diretto: è il risultato di una serie di considerazioni fatte sul mio passato, un passato in cui ho dovuto stare in silenzio o comunque “badare a come parlavo e a quello che dicevo”, un passato che inevitabilmente si ripercuote sul presente; per questo affronto tutto con un mio modo di ragionare e parlo un po’ di quello che mi passa per la testa».

Nel brano cita la provincia come parte del suo vissuto. Cosa significa per lei rappresentare il Sud in un’industria musicale ancora centrata sulle grandi città?

«Significa portare casa mia al di fuori di casa mia, per dare voce a una realtà scomoda in cui io e tante persone viviamo: c’è forse orgoglio più grande?»

Se dovesse spiegare a un ragazzo che oggi vuole iniziare a fare musica cosa significa essere «veri» in questo mondo, cosa gli direbbe?

«Non copiare, non parlare di armi se non le maneggi, sii originale, creati sempre nuove skills e nuovi flow. Ma soprattutto, non sentirti mai arrivato: si migliora/peggiora giorno dopo giorno, dipende da te».

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