Nel cuore della giungla urbana, tra beat sporchi, bassi che sfondano e verità raccontate senza sconti, arriva «Gotti Mafia», il primo producer album di Youngotti, in uscita oggi 9 maggio per Honiro Label. Un disco che non si limita a rappresentare la trap italiana, ma la scava dall’interno, la distilla in tredici tracce dove vita, urgenza e stile diventano una sola cosa.
Youngotti, nome d’arte di Alessandro Moretti, è un produttore romano che da anni detta legge nei bassifondi più autentici della scena urban. Dopo anni passati a firmare beat per nomi iconici della scena come Tony Effe, Ghali, Side Baby, Sick Luke e Dark Polo Gang, l’artista decide di mettere al centro il proprio universo musicale, orchestrando un progetto che è molto più di un disco: un ritratto crudo e potente del mondo trap contemporaneo.
La fame, la tensione espressiva sono il vero filo conduttore del disco, quella che scorre tra disillusione e sopravvivenza, tra poetica cruda e ironia di strada, in un equilibrio tra esperienza e novità, radici e sperimentazione. Il suono è sporco, scuro, senza compromessi. 808 pesantissimi, melodie taglienti, atmosfere industriali e ambienti sonori che sembrano scenari da film post-apocalittico. Nel disco, una line-up di peso, capace di raccontare l’evoluzione della trap italiana da diverse angolazioni: Side Baby e Vaz Tè (in Moltiplicarli), Disme (in Attico) con la sua cifra malinconica e abrasiva, Zep Dembo, presente in due tracce (Gucci Mane e Total 90), anello di congiunzione tra scuola romana e nuova wave sperimentale, Chicoria, leggenda vivente, chiude il disco con Panette. E poi Raspyy, Flaco G, Gizy, Baby Kirua, Ne*ro, ODT, Scaccia, Enzo Benz, una vera e propria mappa del sottobosco urbano italiano.
Partiamo dal titolo «Gotti Mafia»...
«Il riferimento è in primis al mio nome d’arte, Youngotti, che, a sua volta, è un rimando a John Gotti, che operava con un gruppo di collaboratori. Dunque, slittando sulla musica, si rifà in maniera didascalica al produttore che lavora con la sua cerchia di artisti».
È il tuo primo producer album: qual è stata la scintilla iniziale che ti ha spinto a dargli vita?
«Credo sia una naturale conseguenza di un percorso come il mio, fatto di sacrifici, lavoro, continua volontà di migliorarsi in ciò che faccio giorno per giorno. Mi alzo la mattina, produco per altri, produco per me stesso, continuo a creare finché non solo il prodotto mi soddisfa, ma riesce anche ad emergere la mia essenza e il mio stile. Dunque, raccogliendo vario materiale, è stato spontaneo e immediato pensare di coinvolgere altre persone in un album tutto mio, nel quale gli altri potessero dire la propria».
All'interno un vero e proprio incontro generazionale nella musica trap. Come hai scelto gli artisti da coinvolgere?
«Molti sono amici da tanto tempo e la possibilità di lavorare insieme è nata in maniera naturale, uniti non solo dalla conoscenza personale, ma anche da una visione e passione affini. Sono presenti anche artisti con cui ho allacciato rapporti successivamente e che ho scoperto semplicemente ascoltando musica sulle piattaforme. Ho trovato il loro stile e la loro attitudine convincenti, freschi, e sin da subito sapevo che sarebbero stati perfetti per il mio progetto e per l’idea che ho della mia musica».
Come fai da producer a coordinare tanti nomi forti e mantenere coerenza nel sound?
«Come produttore è sempre una sfida trovare intesa tra diversi modi di interpretare la musica o esprimere se stessi, ma ho avuto la fortuna di aver avuto accanto persone con cui ho stabilito una sinergia artistica forte e d’impatto. Inoltre, chi ho coinvolto conosce il mio stile e la mia direzione musicale e non solo ho percepito entusiasmo e interesse nell’essere proprio coinvolti, ma gli artisti sono riusciti a dare "un’impronta" differente ad ogni brano dell’album, rendendo il tutto scorrevole e dinamico. Nessuno ha avuto bisogno di adattarsi, avendo cucito per ciascuno una sorta di comfort zone sempre con i miei suoni, il mio stile, che, voce per voce, si riconoscono».
Le atmosfere cupe e la mancanza di “leggi morali” emergono forti nel disco. Quanto di questa visione viene dalla tua esperienza personale?
«Sicuramente il contesto nel quale sono cresciuto mi ha portato a percepire e vivere la realtà non seguendo un’idea di giusto o sbagliato, ma un senso di vera e propria appartenenza alla periferia, fatta di contraddizioni e, allo stesso tempo, tappe fondamentali, incontri, confronti con persone provenienti da situazioni differenti, anche difficili, che mi hanno reso ciò che sono, con le mie convinzioni e i miei obiettivi».
Oggi in Italia la figura del producer, vero e proprio architetto della musica, sta crescendo sempre di più. C'è qualche producer italiano, nel panorama trap e urban, che ti piace particolarmente?
«Sicuramente non posso non fare un grande props per Sick Luke, che nel panorama trap italiano penso sia uno dei migliori non solo da un punto di vista lavorativo, avendo collaborato diverse volte insieme, ma anche da punto di vista umano, riuscendo sempre ad evolvere se stesso e la propria musica in maniera costante ed efficace».
Adesso che progetti ti aspettano?
«Sono sempre alla ricerca di nuovi suoni, nuovi incroci musicali, lavorando in studio già ai prossimi progetti e ai live».