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«Fare musica? Questione di passione e formazione», da Castellana Francesco De Giorgio alla guida del SAE Milano

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

NON TOCCARE Francesco de Giorgio

Un posto per imparare tutte le professioni legate al settore, dal producer all'ingegnere del suono, ma anche il music business

Venerdì 11 Ottobre 2024, 06:00

«Puoi essere bravissimo a usare mixer e software, ma se non sai da dove cominciare quando vai in studio o non hai idea di come trovare persone per fare team, non andrai lontano». È racchiusa tutta in questa frase la filosofia del SAE Institute, di cui Francesco De Giorgio, nato a Castellana Grotte, dirige la sede di Milano, l'unica in Italia. Un posto che forma chi vuole imparare le professioni legate al business musicale, all'ambito cinematografico, al gaming e all'audiovisivo, con attenzione particolare alle ultime tendenze di mercato come l'elettronica e l'urban. Non cantanti e musicisti, ma producer, ingegneri del suono (l'acronimo SAE nasce come School of Audio Engineering), tutti quei ruoli che servono oggi per costruire un prodotto creativo a 360 gradi. La «Gazzetta» ha avuto la possibilità di visitare la sede insieme a De Giorgio, campus manager dal 2016, con un passato in radio: «Ho iniziato facendo il dj - comincia a raccontare - oggi sono approdato a questo ruolo dopo una selezione internazionale. È un posto ambito, non è detto che il campus manager di una sede SAE venga dallo stesso paese».

Partiamo da lei, ci racconti un po' il suo percorso

«Sicuramente è nato tutto da una grande passione. Mi sono laureato a Ferrara in Tecnologie della Comunicazione Audiovisiva e Multimediale, facendo il pendolare da Bari, l'ho scelta perché oltre alla teoria offriva pratica, laboratori, grafica 3D. Poi ho capito che alcuni aspetti mi intrigavano più di altri, e ho continuato a formarmi, fino ad approdare qui al SAE come studente. Ho attraversato tutti gli step, compreso un master in Business Administration».

Insomma, quel tipo di direttore che sa utilizzare tutti i software e i mixer presenti nella scuola. Come sono strutturati i corsi?

«SAE nasce come posto per imparare l'ingegneria del suono, che fuori dall'Italia corrisponde al lavoro di produzione. Invece la nostra priorità è stata riunire all'interno dello stesso campo diverse discipline: audio, ambito cinetelevisivo, Game e Music Business. I corsi durano tre anni, tranne quelli verticali, più specifici, e per alcuni viene rilasciato il diploma accademico di primo livello. La sinergia è fondamentale: ci sono momenti in cui tutti collaborano insieme per un unico progetto, in questo settore non esistono solisti, ogni lavoro si porta a casa in squadra. È un'esperienza molto pratica: niente test a crocette, l'esame finale è un progetto tangibile, si organizzano perfino eventi di cui si cura la parte organizzativa da zero, comunicazione compresa».

E grande importanza viene data al networking

«È una priorità. Costruiamo per gli studenti occasioni in cui durante l'anno si devono trovare a stringere mani, incontrano altri professionisti, imparano a raccontarsi e a rapportarsi. Non è un lavoro che si esaurisce in aula. Ci teniamo a insegnare loro come comportarsi in studio di registrazione, come prenotarlo, fare booking, curare le relazioni con gli artisti. Abbiamo spesso dei guest, docenti professionisti di ogni settore, che ci raggiungono per far provare agli studenti cosa significa una vera sessione in studio. E loro capiscono cosa si può dire all'artista, al produttore, quando occorre rimanere in silenzio. Stessa cosa sul lato più tecnico, con i sintetizzatori imparano a costruire i suoni, non a manipolarli. E con il gaming, per apprendere come sonorizzare un gioco i ragazzi devono giocarci, fare ricerca, capire come animare il pugno di un robot per far sì che non sembri una piuma».

Un bilancio sull'esperienza in generale?

«Intanto sono felice che ci sia grande sinergia tra le varie sedi SAE, e anche sul territorio italiano ormai siamo legati a circuiti di accademie, ad esempio durante la Milano Design Week noi sonorizziamo le sfilate in cui gli studenti presentano i loro progetti di design. L'aspetto delle collaborazioni è sottovalutato, e invece va approfondito. Alla fine i dati parlano per noi: la percentuale di studenti che lavorano nei sei mesi successivi al diploma è altissima, più dell'80%. E tutti nel loro settore».

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