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Tornare alla magia dell’improvvisare

 
Emanuele Arciuli

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Emanuele Arciuli

Tornare alla magia dell’improvvisare

Il ricordo di don Gino Samarelli, uomo illuminato e generoso. Durissimo confrontarsi con la sua morte

Martedì 11 Giugno 2024, 06:23

Giorni fa ero a cena da amici, e uno di loro mi ha chiesto se mi piacesse improvvisare al pianoforte, anzi mi ha incoraggiato a farlo, quasi come pratica liberatoria dalle prescrizioni della partitura. Gli ho risposto che mi piace improvvisare, anche se solamente per gioco e in privato.

È un tema interessante, perché - dovessimo sintetizzare - la principale differenza tra la musica classica (o colta, o come la si voglia definire) e le altre sta proprio in questo: la classica è scritta integralmente, è cioè un progetto concluso in sé e autosufficiente. Serve, naturalmente, la capacità di «intelligere», di dare senso al segno - ne abbiamo già scritto - ma sia le note che le dinamiche che i segni di agogica ed espressione sono specificati in partitura. Persino il pedale è, spesso, indicato dal compositore. Sembra, insomma, esserci pochissimo spazio per l’improvvisazione; il che è, però, un paradosso, perché tutti i grandi compositori, almeno fino all’inizio del Novecento, erano dei formidabili improvvisatori: Bach, Mozart, Beethoven, Mendelssohn, Liszt, Busoni, Gershwin, per citarne solo alcuni, erano capaci di improvvisare per ore, e spesso queste creazioni estemporanee si arricchivano di una tale complessità contrappuntistica da sembrare scritte.

Il paradosso, insomma, sta nel fatto che i grandi compositori-improvvisatori siano capaci di creare l’illusione di una musica meditata, scritta, quando improvvisano; mentre i pianisti classici dovrebbero dare l’impressione che la musica che stanno leggendo, o che suonano a memoria avendola studiata per anni, sgorghi dalle loro mani quasi improvvisata. È un tema sul quale varrebbe la pena di tornare. Perché se i pianisti classici si riappropriassero della pratica improvvisatoria, sarebbe di certo un vantaggio per la loro capacità di esprimere e comunicare, anche quando eseguano musica scritta.

Non avrei mai voluto aggiungere queste poche righe per ricordare un amico, perché Girolamo (Gino) Samarelli apparteneva a quel novero di persone che diamo per scontate, e con la cui scomparsa è durissimo confrontarsi. Don Gino Samarelli è morto sabato mattina, improvvisamente, nella sua Molfetta, dove era parroco del Duomo. Non sono un cattolico praticante, ma la nostra salda amicizia si basava su un profondo rispetto, una tensione etica condivisa e un’altrettanto forte passione per la musica d’oggi.

Don Gino aveva creato una piccola etichetta discografica, «Digressione», che da ormai molti anni era diventata un punto di riferimento nazionale, con produzioni interessanti, mai banali, curatissime anche sotto l’aspetto grafico (del quale si occupava lo stesso Samarelli, che aveva compiuto anche studi professionali a riguardo).

Ma don Gino aveva aperto i suoi studi anche a registrazioni che non sarebbero confluite nel catalogo di Digressione, disponendo di un locale acusticamente ineccepibile, di un ottimo Fazioli, di apparecchiature e microfoni di assoluto livello, di tecnici bravi, pazienti e gentili. Io stesso vi ho registrato per conto di diverse etichette straniere (Albany, Naxos, Neuma), abituate a un alto standard di registrazione, e sempre felici dei risultati che si raggiungevano negli studi di Molfetta. E infatti avevamo nuovi progetti, da realizzare anche con i miei allievi dell’Accademia di Pinerolo. La cosa più bella era proprio ritrovarmi con lui, a parlare di musica, confrontando i nostri gusti con franchezza, passione e sempre un pizzico di ironia. È stato un uomo illuminato, generoso, intelligente e simpatico. Mancherà moltissimo a quanti lo hanno conosciuto.

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