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D’Arpe, un irregolare nella Bari Anni ‘50

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

D’Arpe, un irregolare nella Bari Anni ‘50

il cast di Lazarillo

Gli sceneggiati in tv poi l’approdo in «Gazzetta» e il trasferimento a Roma

Martedì 29 Marzo 2022, 10:19

Per quanti hanno trascorso l’infanzia o la prima adolescenza negli Anni ‘60, il quotidiano appuntamento del pomeriggio con la Tv dei ragazzi costituisce senza dubbio uno dei ricordi più cari. In un’epoca in cui il piccolo schermo - all’epoca sinonimo di Rai - proponeva soltanto due reti, il Primo e il Secondo canale, quell’ora e mezzo circa di programmazione rigorosamente suddivisa in una prima parte per i più piccini e una seconda per i più grandicelli, costituisce un esempio di televisione intelligente e «pensata» che ai nostri giorni appare sempre più come un miraggio. Cartoni animati, programmi di divulgazione scientifica e culturale, sceneggiati televisivi erano un appuntamento particolarmente atteso, possibilmente da raggiungere avendo già finito di fare i compiti o, quantomeno, avendoli già licenziati in buona parte.

Nel dicembre del 1968, andò in onda lo sceneggiato in quattro puntate «Lazarillo», un libero adattamento di Claudio Novelli delle avventure di Lazarillo de Tormes, la cui regia era firmata da Andrea Camilleri, non ancora diventato «papà» del commissario Montalbano. Lo sceneggiato era tratto da un anonimo testo spagnolo dei Cinquecento, da molti indicato come l’archetipo del romanzo picaresco e parlava delle peripezie affrontate da un ragazzino sveglio, ma povero in canna che si guadagnava da vivere passando da un padrone all’altro. Nel cast, con il piccolo protagonista Vittorio Guerrieri, c’era nel ruolo di un «villain» particolarmente odioso l’attore di origini pugliesi Gustavo D’Arpe. Pochi mesi dopo la messa in onda di «Lazarillo», durante un soggiorno romano, capitò di incontrare Gustavo D’Arpe e con mia grande sorpresa non solo lo vidi salutare mio padre con affetto, ma una volta appreso che stavamo recandoci a pranzo, praticamente si autoinvitò al ristorante.

Benché si rivolgesse a me in maniera affettuosa, quell’omone dall’abito liso – evidentemente non se la passava benissimo – e dalle mani con le unghie… listate a lutto, continuava ad apparirmi come il cattivo di «Lazarillo», malgrado avessi appreso che era stato collega di mio padre; quando poi, giunti a tavola, lo vidi avventarsi su un pollo arrosto che divorò senza mai usare le posate, finendo per giunta per leccarsi le dita, la mia fantasia di bambino di nove anni si trasformò in puro terrore e mi rifiutai di mangiare. L’episodio citato, in realtà, è un pretesto per ricordare un personaggio praticamente caduto nel dimenticatoio. Benché fosse nato a Palermo nel 1918, Gustavo D’Arpe era il figlio di un generale dei carabinieri di origini salentine. Innamorato del giornalismo aveva scritto i suoi primi articoli per alcune testate siciliane, ma poi l’approdo sul… Continente lo aveva portato proprio a Bari dove aveva iniziato a lavorare alla «Gazzetta del Mezzogiorno» occupandosi tra l’altro di cultura e spettacoli. Uomo dall’intelligenza vivace e dal carattere irrequieto, D’Arpe aveva cominciato a frequentare il cenacolo culturale del «Sottano» di don Armando Scaturchio e, come ricorda Adriano Mazzoletti nella sua opera monumentale sul jazz in Italia, nel 1951 era anche stato eletto presidente di un Hot Club che organizzava appuntamenti jazzistici al Circolo Unione; una curiosità: in quel consiglio direttivo c’era anche un’altra «firma» della Gazzetta, Pietro Virgintino. Ma la «Gazzetta» non fu l’unico approdo barese di D’Arpe che ebbe modo di collaborare, in veste di regista, persino con la Rai, la cui sede barese, in quegli anni, era in via Putignani. E a conferma del suo carattere estroso, sembra che un giorno si presentò negli studi radiofonici indossando dei pantaloncini corti e un enorme cappello panama, suscitando ilarità e imbarazzo. Tuttavia la Bari degli Anni ‘50 non era una città sufficientemente viva per il personaggio che, una volta perso il posto alla «Gazzetta», decise di trasferirsi a Roma dove, tra cinema e televisione, era certo che avrebbe trovato spazi più adeguati alle sue aspettative.

E così fu, almeno all’inizio: il suo nome figura, sia pure in ruoli di contorno, in pellicole come «Il maestro di Vigevano» di Elio Petri, «Sedotta e abbandonata», «Signore e signori» e «Serafino» (quest’ultimo con Adriano Celentano) di Pietro Germi, oltre che in alcuni film in costume. In televisione, oltre a «Lazarillo» prese parte anche ad alcuni Caroselli, senza però mai riuscire a fare quel salto di qualità che lo aveva spinto a lasciare la «provinciale» Bari. Morì nel 1971 ad appena 53 anni.

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