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Nicola Simonetti
21 Gennaio 2019
Allarme in sala operatoria: infezioni della ferita chirurgica. Una su 5 infezioni associate a procedure assistenziali ospedaliere è di natura chirurgica. Nel 70% dei casi le infezioni compaiono dopo la dimissione.
L’ “OMS” ed i “Centri del controllo e prevenzione delle malattie” di Atlanta (Usa), hanno raccomandato di intervenire. In Italia, sono state pubblicate, per la prima volta, le “Raccomandazioni per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico”. Un decalogo (raccomandazioni, indicazioni, procdure per ogni voce) per dire ”stop alle infezioni chirurgiche” responsabili di disagi, di 9 giorni (media) in più di ricovero, rischi ulteriori anche gravi, sepsi, disabilità, raddoppio del costo della malattia, assenza da lavoro od attività personali, sociali, familiari, scadente qualità di vita.
Si tratta – dice il prof. Nicola Petrosillo (ist. Spallanzani, Roma)– di norme di buona pratica che, se attuate, riducono di oltre il 70% tali infezioni. A prevenire il rischio sono chiamate in causa figure professionali ospedaliere (farmacista, chirurghi, infettivologi, personale sanitario ed ausiliario) che devono seguire canoni sequenziali (igiene personale e del paziente, disinfezione, tricotomia, norme di precauzione). Sulla pelle di persona sana e pulita, soggiornano 1.000 miliardi di batteri che, sommati ad acari, miceti, virus, superano di 140 volte il numero di viventi. Una soluzione di continuo, come la ferita chirurgica, apre loro la porta per invadere l’organismo. La eliminazione di peli/capelli (non sempre né per ogni paziente o tipo di chirurgia) va fatta lo stesso giorno dell’intervento e non più con il rasoio che può causare microlesioni della cute, ma con clipper elettrico.
“La disinfezione scrupolosa di mani ed avambracci, la protezione della parte da incidere con disinfettante efficace, studiato per 20 anni e, cioè – dice il prof. Marco Pitturri, chirurgo, policlinico Gemelli, Roma - “clorexidina al 2% in alcol” (non più le soluzioni non alcoliche), usando applicatori e dosatori (cioè la disinfezione come farmaco) per l’antisepsi cutanea preoperatoria”.
Antibiotici da adattare al singolo caso. Mantenere il paziente, durante l’intervento, in ambiente sufficientemente caldo, eseguire adeguato controllo glicemico perioperatorio in tutti i pazienti, diabetici e non. Le linee suggerite rappresentano uno strumento pratico da studiare ed applicare, con strategia coordinata e sequenziale. Prima di dar spazio al bisturi, l’equipe “spunti” le varie voci della check-list (come farebbe il pilota di un aereo prima del via). L’attenzione dovuta al fattore umano – dice Andrea Blasio (ospedale San Raffaele , Milano) – impegna a formare una squadra che lavori per evitare l’evento che Francesca Raggi, (ausl, Modena) definisce “scongiurabile; basta che ci si pensi e si operi secondo le linee suggerite”.
Non è da sottovalutare, peraltro, la situazione di difficoltà nella quale si trovano gli ospedali come denunciato recentemente dal 16° Rapporto “Ospedali & Salute 2018”, promosso dall’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP) che lancia l’allarme: “20 milioni di italiani hanno sperimentato la criticità delle liste di attesa e molti di loro sono ricorsi all’escamotage Pronto Soccorso (28,2% per un disagio non grave; il 6,9% lo ha fatto per la mancata reperibilità del medico di famiglia, perché fuori dall’orario di visita o nel fine settimana, trovandovi attese di ore ed insoddisfazione), per accedere più rapidamente a visite, accertamenti diagnostici e ricoveri. Altri, invece, hanno rinunciato alle cure (51,7%, +4,1 punti rispetto al 2017) o incrementano la mobilità sanitaria, oppure - oltre 30% - si sono accollata la spesa dell’alternativa”.
“Rispetto a tale criticità, risulta indispensabile aumentare l’offerta dei servizi erogati, promuovendo la piena integrazione tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato… Un SSN in grado di erogare assistenza nei tempi corretti, oltre che di qualità, deve essere uno dei principali obiettivi del Paese” (Barbara Cittadini, presidente AIOP). Un italiano su tre, tra coloro che hanno avuto esperienze di liste d’attesa e/o di Pronto Soccorso, si dichiara insoddisfatto del Servizio Sanitario della propria regione, soprattutto degli ospedali pubblici (32,6%) e delle strutture delle ASL (28,6%), in percentuale minore, invece, degli ospedali privati accreditati (18,3%) e delle cliniche a pagamento (14,3%).
“Improcrastinabile riorganizzare ed efficientare sia dal punto di vista economico-finanziario, che da quello dell’offerta di prestazioni e di servizi di qualità che devono essere garantiti in maniera omogenea ovunque”. Sul piano delle proposte, oltre l’80% richiede l’ottimizzazione degli orari dei servizi relativi all’utilizzo della strumentazione tecnica, l’impiego degli operatori ma anche l’utilizzo integrato degli ospedali pubblici al fine di ridurre i tempi di attesa. Il 53,4% di intervistati ritiene utile aumentare il valore del ticket allo scopo di selezionare un po’ meglio la domanda di servizi da parte dei pazienti.
La tenuta media delle prestazioni si manifesta malgrado la spesa sanitaria pubblica sia decrescente nel tempo, visto che tra il 2010 e il 2016 passa dal 7,2% al 6,7% sul PIL, mentre aumenta in Francia (da 8,7% a 9,6%) o in Germania (da 8,6% a 9,4%) e Paesi OCSE Europa (da 7,5% a 7,2%). Il monitoraggio ha rilevato aree di inefficienza che individuano sovracosti potenziali (2-4 miliardi euro per la sola voce attività “a funzione”.
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