In uno degli ultimi appuntamenti con questa rubrica sono tornato sull’Appia antica spiegando che, volendo, sarebbe possibile scriverne pressoché ogni volta; del resto, aggiungevo, esiste già una robusta bibliografia sull’argomento.
Ancora non sapevo, in quel momento, che sull’Appia ci sarei tornato molto presto; il motivo è una mostra che ho potuto visitare qualche giorno fa, in corso fino al prossimo gennaio all’Istituto centrale per la grafica di Palazzo Poli. L’esposizione si chiama semplicemente «Regina Viarum» ed è un viaggio ricco e illuminante nella rappresentazione dell’Appia antica nella grafica tra Cinquecento e Novecento.
Muovendosi negli spazi di Palazzo Poli, a metà strada tra piazza di Spagna e la Fontana di Trevi, è possibile ammirare circa 70 opere che raccontano attraverso disegni, incisioni, matrici, libri e fotografie la fortuna iconografica dell’Appia, in tutta la sua interezza. Partendo da Roma, ecco così il mausoleo di Cecilia Metella raffigurato in una magnifica acquaforte su rame di Giovanni Battista Piranesi, incisore e architetto veneziano attivo a Roma nel corso del Settecento; la sua iconografia guardava alle antichità romane riempiendole di elementi spettacolari, teatrali, attingendo alla mitologia del passato con un gusto particolare per l’esotismo orientale, specialmente egiziano.
Restando a Roma, un disegno seicentesco di Carlo Maratta raffigura l’incontro del re Numa Pompilio con la ninfa Egeria nel momento della consegna delle leggi, simboleggiando le origini divine del diritto romano. Scendendo verso Sud, il Sepolcro di Cicerone a Gaeta disegnato da Carlo Labruzzi e un’acquaforte ottocentesca di Pietro Barboni che illustra l’anfiteatro della città di Capua.
Naturalmente, ognuna delle opere esposte offre una visione diversa – nel tempo e nello spazio – di un luogo geograficamente assai esteso, che ha attraversato i secoli cambiando di volta in volta; a partire dalle opere più antiche presenti nella mostra, ovvero le rappresentazioni cinquecentesche del Septizodium, un edificio enorme eretto da Settimio Severo. Nei disegni di Maarten van Heemskerk e di Étienne Dupérac possiamo ammirare un monumento che rappresentava per i pellegrini in arrivo da Sud il punto d’arrivo a Roma, andato distrutto alla fine del XVI secolo.
Più recenti, ma non meno interessanti e visivamente attraenti, le opere che guardano al tratto pugliese della via Appia: tra le altre, un disegno del 1914 di Guido Colucci raffigura con pastelli e matita nera la Piazza e Chiesa di Gravina di Puglia, colta in una scena di straordinaria luminosità, autenticamente meridionale. Ancora, un’acquaforte di Alfredo Petrucci a disegnare La Grave di Castellaneta, per finire idealmente con gli scatti recentissimi del fotografo Olivo Barbieri che rappresentano l’Abbazia «incompiuta» della SS. Trinità di Venosa, pietra che diventa luce e architettura che si riempie di spazio.
Nel suo complesso, dunque, la mostra da un lato fa rivivere il passato e dall’altro guarda al futuro, per la valorizzazione estetica e culturale di tutto il tragitto della strada più affascinante dell’antichità. Curata da Gabriella Bocconi, la mostra si inserisce nella richiesta di iscrivere la via nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco; ammirando le opere esposte a Palazzo Poli è più facile comprendere e sostenere le ragioni della candidatura.