All’interno di Roma, stratificata e densa di avvenimenti storici come poche altre al mondo, è possibile tracciare diverse mappe. Scomporla e ricomporla, per identificare luoghi simbolici, sovrapposizioni, intrecci biografici. Siamo nei giorni delle celebrazioni per la Resistenza, e la memoria della città pulsa dentro svariate strade, nei quartieri storici così come nelle periferie, sia quelle che lo erano un tempo, prima di diventare nuovi centri urbani di fatto, sottratti alla campagna, così come nelle zone che lo sono diventate nel dopoguerra.
Una linea ideale unisce tragicamente via Rasella, in pieno centro, a due passi dalla fontana di Trevi, e le Fosse Ardeatine, tra l’Appia antica e via delle Sette Chiese. All’azione dei partigiani gappisti contro le truppe naziste in transito dalla prima corrispose la rappresaglia tedesca che vide alle Fosse la fucilazione di 335 prigionieri, dieci malcontati per ogni militare caduto. Era il marzo del ‘44, ma la Resistenza in città già infuriava dal giorno dell’armistizio, tra esercito regolare, movimenti inquadrati nel Cln e bande più o meno organizzate. La mancata difesa di Roma, conseguenza dell’armistizio e della fuga dei reali e dei vertici militari e politici, aveva portato già alla battaglia di Porta San Paolo. Nei dintorni della piramide di Caio Cestio, soldati italiani e partigiani tentarono invano di fermare l’entrata delle colonne naziste dalla via Ostiense. Prese parte alla battaglia Sandro Pertini. Tra i primi caduti della Resistenza italiana il diciassettenne Maurizio Cecati e l’insegnante neanche trentenne Raffaele Persichetti, entrambi medaglie d’oro alla memoria.
La memoria, da esercitare ripassando storie e biografie, più che prendendo parte a commemorazioni generiche. A via Tasso, tra l’Esquilino e San Giovanni, i comandi delle SS posero caserme, uffici e una prigione, agli ordini di Herbert Kappler, capo della Gestapo. In quegli stessi locali sorge oggi il Museo della Liberazione, da quindicimila visitatori annui in media. Fateci un salto, se passate da Roma. I combattenti partigiani, nel frattempo, proseguivano le loro azioni in tutti i quadranti della città, in special modo a Est. Per Kappler, il quartiere del Quadraro era un “nido di vespe”; un bel murales ritrae oggi proprio alcune vespe, sotto la scritta “You are now entering Free Quadraro”. Qui si distinguevano tra gli altri i partigiani di Bandiera Rossa, con quartier generali in un sanatorio per malati di tubercolosi (lì i nazisti non ci entravano) o alla trattoria della famiglia Pepe, in zona Tor Pignattara.
Dalla proclamazione di Roma capitale l’emigrazione dal Sud era stata costante. Molti di quegli uomini e di quelle donne, concentrati nelle borgate, diventarono militanti e combattenti della Resistenza. Tra di loro Maria Diaferia, una ragazzina negli anni Quaranta, e poi Lucrezia Piccarreta (prese parte a varie azioni logistiche) e Isabella De Palma Tozzi, tutte di Corato. Originario di Corato anche Cataldo Grammatica, militante del gruppo Bandiera Rossa, a cui avevano aderito Carlo e Matteo Matteotti, figli di Giacomo, e intellettuali come lo scrittore Guido Piovene. Grammatica morirà il 4 giugno del ‘44, nelle stesse ore in cui le truppe naziste lasciavano Roma. Prese parte a uno scontro a fuoco a Villa Certosa, lungo la via Casilina, e morì alle nove del mattino, attaccando i militari tedeschi in fuga. Il suo nome compare in una targa commemorativa a piazza della Marranella. L’ultima strage nazista a Roma si consumava infine lungo la Cassia, a nord della città. Quattordici prigionieri tra cui il sindacalista Bruno Buozzi furono fatti scendere da un veicolo e assassinati, dopo essere stati prigionieri per una notte.