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«Acqua dell’abete» Non c’entra il petrolio ma la fonte è inquinata

«Acqua dell’abete» Non c’entra il petrolio ma la fonte è inquinata

 
«Acqua dell’abete» Non c’entra il petrolio ma la fonte è inquinata

Mercoledì 23 Marzo 2011, 10:46

02 Febbraio 2016, 23:04

di FABIO AMENDOLARA

Gli idrocarburi non c’entrano, ma quelle sostanze oleose presenti nella sorgente «Acqua dell’abete» di Calvello contengono manganese e cromo. Le estrazioni di petrolio secondo il professor Franco Fracassi, consulente della Procura di Potenza, avrebbero fornito valori anomali di bario. E invece: «L’eccessivo tenore di manganese e in un caso di cromo - si legge nella consulenza tecnica che la Gazzetta ha potuto consultare - è sicuramente dovuto alla formazione di una dispersione di terreno in acqua». 

Quella sostanza oleosa che era ben visibile non era petrolio. Era terreno ferroso. E l’acqua risultava «opalescente » anche se filtrata. Tutti i campioni di fango analizzati «rientrano - scrive il consulente ai pubblici ministeri Sergio Marotta e Salvatore Colella - nei limiti previsti dalla vigente normativa per i siti destinati a verde pubblico». La consulenza è stata disposta perché i magistrati sospettavano «che nelle aree - che erano state sequestrate dal Corpo forestale dello Stato - fosse in atto una contaminazione dovuta ai prodotti petroliferi». 

Perché la richiesta della Procura era specifica: «Accerti il consulente tecnico se è presente una situazione di potenziale contaminazione e in particolare se la stessa sia riconducibile all’attività estrattiva condotta dall’Eni Spa presso il pozzo denominato Cerro Falcone due». Ed ecco perché la Procura ha chiesto l’archiviazione del procedimento. «Le allarmanti prospettazioni degli inquirenti hanno indotto questo ufficio a richiedere e ottenere una riapertura delle indagini, per poi procedere a un nuovo sequestro delle aree interessate e all’identificazione del direttore responsabile del pozzo di estrazione petrolifera denominato Cerro Falcone due». 

È stata la consulenza a portare alla richiesta di archiviazione. Spiegano i magistrati: «In consulente tecnico ha concluso che in relazione a uno dei due siti oggetto d’indagine non vi è alcuna contaminazione dei suolo o di acque superficiali e non sono stati riscontrati rifiuti di alcuna natura. Mentre in relazione al secondo siti, in assenza anche per esso di una potenziale contaminazione del suolo, era stata riscontrata la presenza di materiale rosso contenente il 30 per cento di ferro in modestissima quantita, per il quale non era possibile stabilire se fosse di origine naturale ovvero dovuto a ruggine. Tuttavia è stata esclusa ogni correlazione con l’at - tività estrattiva non essendo stata riscontrata traccia di idrocarburi». La notizia di reato era quindi «infondata». Il fascicolo è finito per la seconda volta in archivio. La provenienza della ruggine, del manganese e del cromo, però non sono state accertate. Perché, pare, non sia possibile stabilirlo.
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