Oggi, La Gazzetta del Mezzogiorno, esce con un inserto-sovracopertina dedicato a Pier Paolo Pasolini, in occasione del centenario del poeta e regista. Quattro pagine con articoli e immagini dedicati all'idea di Sud che il grande scrittore ha mostrato al cinema e nei suoi libri, più alcuni stralci tratti dal volume "La lunga strada di sabbia" (edito da Contrasto) in cui Pasolini racconta il viaggio nel Meridione dell'estate 1959. L'intellettuale controcorrente trovò nei Sassi i volti autentici per il suo capolavoro "Il Vangelo secondo Matteo" e scoprì a Matera la sua "Terra promessa", come spiega nel suo articolo il direttore della "Gazzetta" Oscar Iarussi. E poi un commento di Raffaele Nigro sul Sud come metafora, visto attraverso gli occhi di Pasolini, e un articolo di Fulvio Colucci sulle comparse lucane che fecero la storia del film.
Ecco le video interviste in esclusiva.
FACCE RUGOSE TRA I SASSI (di Fulvio Colucci) - Per loro fu un gioco, ma, senza saperlo, entrarono nella storia. «Avevo 10 anni, vidi il paese in tumulto, chi correva a destra, chi a sinistra. Chiesi ai miei amici: cosa succede? Mi risposero: stanno girando un film di Gesù. Era la prima volta a Massafra». Vito Martucci, sul limitare dei 70 anni giura che siano in vita ancora tante comparse del film Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. Come lui fecero la storia, senza saperlo. E non solo del cinema italiano, non solo perché il film, girato tra l’aprile e il luglio del 1964, vinse il Premio speciale della giuria alla XXV Mostra del Cinema di Venezia, non solo perché Pasolini dedicò il film «alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII». Martucci si abbandona ai ricordi con semplicità. Appunto l’adorabile semplicità di un gioco collettivo: «Ero curioso, volevo partecipare. Chiesi: chi è il capo? Mi indicarono un signore con gli occhiali scuri. Era Pasolini». Martucci si illumina proprio come un bimbo: «Scusi capo, posso partecipare anche io? Pasolini mi guardò e mi accarezzò tre volte i capelli rispondendo con dolcezza: domani mattina vieni qui». Il «qui» è Via Muro a Massafra. Ancora oggi si può respirare una certa magia sacra del luogo, nonostante il degrado che oggi stride con la scelta di Pasolini: girare il film al Sud per la migliore aderenza dei luoghi e degli uomini al Vangelo. Il poeta scartò la Palestina: la modernità le aveva rubato il fascino. Massafra era Cafarnao, luogo di guarigioni, di spiriti scacciati, di ministero evangelico. Rivive, quell'atmosfera, negli scatti di Angelo Novi, fotografo di scena del Vangelo pasolinano, di proprietà della Cineteca di Bologna. A raccoglierli, in una pubblicazione, l'associazione culturale “Vicoli Corti”. Ma fu quasi tutto il Sud a diventare un set a cielo aperto: i Sassi di Matera assurti al rango di Gerusalemme, mentre erano ancora considerati «vergogna nazionale» per le condizioni abitative. E poi altri luoghi di terra e di mare belli come testi sacri: Gioia del Colle, Ginosa, Barile, Lagopesole, le coste calabresi. In Lucania quanto contò, nella scelta del regista, la reminiscenza delle parole di Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli? «Un pomeriggio di agosto», arrivato a Gagliano, lo scrittore scopre «una piccola Gerusalemme immaginaria nella solitudine di un deserto».
Forse tornò il ricordo nei sopralluoghi del regista a Matera, testimoniati dalle immagini del fotografo della “Gazzetta” Rosario Genovese? «Pasolini sembrava incantato dalla bellezza di Massafra e della gravina» prosegue Vito Martucci. «Enrique Irazoqui interpretava Cristo e quando dice: lasciate che i bambini vengano a me, ci stringevamo a lui con in mano i gerani. Quel cesto giunse in fretta perché Pasolini gridò: voglio i fiori? Dove sono i fiori? Era esigente con tutti. Arrivai sul set in ritardo, avevo dimenticato le scarpe da tennis ai piedi. Fermò la scena appena iniziata: stop! Stop! L’avevo fatta grossa: un bambino dei tempi di Gesù con le scarpe da tennis!». Per tanti fu un gioco, anche se entravano nella storia senza saperlo. Come i contadini-figuranti, di corsa davanti alla cinepresa dopo aver finito di mietere i campi, fianco a fianco con nomi famosi, che attori non erano. Ma poeti. O filosofi. O scrittori: Alfonso Gatto (l’apostolo Andrea), Giorgio Agamben, Elsa Morante (che scelse le musiche del film), Enzo Siciliano. In Giuseppe Cotugno, anche lui quasi settantenne, durante quel gioco scattò la scintilla della passione per il cinema: «Era primavera. Una mattina mi svegliai e mia madre disse: è venuto quello del cinema, vai che è bello, ti diverti. Io dalla mia casa nei Sassi arrivai saltando sulle pietre; mi misero un saio di tela grigio, lo ricordo ancora; un paio di sandali, una palma in mano. Giravamo la scena dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Non vidi Pasolini, ma Irazoqui. Sembrava il giorno della Prima Comunione. Nel tempo ho colto anche dettagli di quella che fu un'impresa: la scena dell'ingresso a Gerusalemme fu girata con le cineprese a spalla, tra i Sassi non era facile. Pasolini – ricorda Cotugno - si innamorò del silenzio dei luoghi, ne colse il respiro magico, di una magia reale». La stessa che restituiscono le foto di Domenico Notarangelo, raccolte dai figli Mario e Toni. Notarangelo fu una specie di angelo custode di Pasolini nei giorni del Vangelo a Matera. Sua la celebre istantanea del regista e di Irazoqui durante una pausa del film affacciati sui Sassi. Pasolini è assorto, medita sul paesaggio tra emozione e smisurata preghiera. Per lui il Vangelo era opera del pensiero che «rigenera». Mario Notarangelo, presidente dell’associazione “Pasolini” che sta organizzando, insieme ad altre realtà, iniziative per l’anno del centenario, ricorda: «Il regista chiese a mio padre di trovargli facce “stronze e fasciste”. Le voleva per rappresentare i centurioni. Mio padre li pescò al dopolavoro del Partito comunista».
Il Vangelo secondo Matteo fu anche manifesto della bellezza del Sud, e una denuncia di come la modernità, lo sviluppo, mettessero a rischio la sua sopravvivenza (ambientale e umana, al di là dell'amore di Pasolini per la civiltà contadina). Una modernità senza memoria e, quindi, senza rispetto per l'uomo. Non a caso, quel giorno di settembre a Venezia, quando il film fu proiettato, in sala, alla destra del poeta, sedeva Aldo Moro.