Sabato 06 Settembre 2025 | 19:05

Da Manfredonia il rap di Amon conquista «Nuova Scena»: «Sarò ariete della mia terra, canto la rivincita del Sud»

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

Il 23enne Giuseppe Palomba è tra i protagonisti dello show Netflix, dove ha convinto i tre giudici Geolier, Fabri Fibra e Rose Villain. «Ho scelto un nome egizio, ma non vedo la piramide, cerco lo scalino per percorrere un passo alla volta»

Venerdì 11 Aprile 2025, 06:00

MANFREDONIA - «Quando sono andato a Milano a fare il provino, avevo lo stesso atteggiamento che ho mentre faccio ascoltare i miei pezzi agli amici». Parla con naturalezza e spontaneità Amon, rapper 23enne di Manfredonia (Fg), tra i protagonisti della seconda stagione dello show Netflix Nuova Scena (la finalissima sarà disponibile sulla piattaforma da lunedì 14 aprile alle 21). Giuseppe Palomba, questo il vero nome, ha conquistato i pareri positivi dei tre giudici, Geolier, Fabri Fibra e Rose Villain, e da qualche giorno è online il videoclip del suo inedito, «Network», in cui racconta il dualismo tra la grande città e il «ghetto» di provincia. Un po' sulla falsariga della sua storia: bagnino d'estate, ma con una passione sfrenata per la musica fin da quando era piccolo, ha partecipato alle registrazioni del rap show prodotto da Fremantle Italia senza troppe aspettative: «Sono sempre stato molto autocritico - racconta alla Gazzetta - e solo quando ho capito che sarei andato a Milano a esibirmi davanti ai giudici, con il pubblico così preso bene, mi sono sentito orgoglioso, soprattutto di portare con me la mia terra, la Puglia».

Questa terra, Manfredonia, quanto la rappresenta?

«Totalmente. È vero, non faccio rap in dialetto, ma tutto qui mi ha plasmato, come un figlio prende le stesse abitudini e la stessa cadenza dei genitori. Per quanto sul palco sia sicuro di quello che faccio, dentro di me sento di aver mantenuto la semplicità della mia vita di tutti i giorni, anche quando andavo a Milano a girare, facevo avanti e indietro, il giorno prima cantavo ai Magazzini Generali e quello dopo ero in spiaggia ad aprire gli ombrelloni. Sono comunque sempre me stesso, mi approccio con tutti allo stesso modo. Il talento non si basa su views e follower, se non ci sono solide fondamenta».

Che rapporto si è costruito con gli altri concorrenti?

«Davvero bellissimo. Camilway (uno dei ragazzi in gara, ndr.) l'ho conosciuto alle fasi iniziali, ci siamo trovati bene fin da subito, poi lui è calabrese, ci piacciono gli stessi artisti, e alcune canzoni hanno segnato l'adolescenza di entrambi. Con Cuta (un altro concorrente, ndr.) la storia è ancora più curiosa: un paio d'anni fa feci un reel su Instagram con Gabrix, un altro rapper emergente della mia terra. Cuta l'aveva commentato, ci eravamo scambiati dei messaggi finché un giorno non ci siamo trovati a Milano, andammo a mangiare insieme al Mc Donald's, mi portò al Muretto, luogo culto del rap che avevo sentito nominare solo nelle canzoni, ci ho scritto pure una strofa».

E con i giudici?

«Fa effetto avere dei mostri sacri accanto. Di Geolier mi ha colpito un piccolo gesto, noi eravamo a mangiare tutti insieme e ci ha chiesto se poteva sedersi al nostro tavolo. Chi mai gli avrebbe potuto dire di no? Fabri Fibra poi mi ha davvero caricato quando mi ha fatto i complimenti, sono cresciuto ascoltandolo nelle cuffie, lì ho sentito che forse la strada che sto percorrendo è quella giusta».

Nell'inedito «Network» c'è questa contrapposizione tra la provincia e la grande città. È la sua storia?

«Io dopo tanti anni che provavo a fare musica sono stato costretto ad andare via da Manfredonia, ma non per allontanarmi, volevo provare a fare un'esperienza fuori. Poi è nella mia terra che ho tutto, la mia famiglia, i miei luoghi, i miei ricordi, mi basta passare vicino a una rotonda e ripenso a quando ho dato il mio primo bacio, vedo la piazza e ritorna quella festa di compleanno a sorpresa che mi organizzarono gli amici. Per un artista è fondamentale vivere di empatia, abbracciare tutte queste sfaccettature, anche nei luoghi. Tutto questo però si scontra con la realtà, un Sud Italia spesso abbandonato dalle istituzioni, la mia provincia in particolare. Io però voglio essere ariete della mia terra, sfondare tutto questo sistema con la testa, rimboccarmi le maniche e andare avanti, motivare tutte le nuove generazioni. Ci prendiamo una fetta di pubblico, vedo quello che succede nella mia terra e lo denuncio. È un po' quello che abbiamo proposto nel video di Network, girato in una zona popolare, ricreando un po' quello scenario».

Molto nobile questo intento. E finora la sua Manfredonia come sta rispondendo?

«Mia madre mi racconta che la fermano per strada, le fanno i complimenti, io stesso sono rimasto quello di sempre, vicino ai miei amici e alla mia gente. Non la considero una vittoria, Nuova Scena è uno step iniziale del mio percorso, con cui forse ho smesso di gattonare e procedo con i primi passi».

Ricorda il suo primo approccio alla musica?

«È uno stato d'animo per me, la mattina mi piace alzarmi con il reggae, per avere il giusto mood, poi ci sono momenti in cui ho voglia di ascoltare i grandi cantautori italiani, Baglioni, Raf, Max Pezzali. Mio nonno mi ha cresciuto con i dischi dei Pooh e dei Cugini di Campagna, io poi sono una spugna, cerco di apprendere il più possibile, mi aiuta nel processo creativo».

Un artista contemporaneo che la ispira?

«Senz'altro Tedua. Di lui mi piace la penna, ho iniziato a capire che potevo fare sul serio, dire e comunicare qualcosa alla gente. Non mi piace l'arte vuota, di plastica, il mercato vuole farci correre, secondo me dobbiamo imparare a frenare leggermente e dare il giusto spazio all'arte. Per fare un pezzo che lasci il segno occorrono tempo e cose da dire. Senza per forza analizzare la società, si può fare anche con leggerezza, ma le fondamenta concrete ci vogliono».

Quali sono i suoi obiettivi ora?

«Sono molto grandi, per scaramanzia non li dico. Il mio nome d'arte viene dalla storia egizia, ma io non voglio vedere la piramide. Cerco lo scalino da percorrere, uno alla volta. Lavorerò tantissimo e cercherò di offrire al pubblico la versione migliore di me».

E se dovessimo scattare una fotografia che racchiude l'esperienza di Nuova Scena, cosa vedremmo?

«Un'immagine di noi tutti insieme. Non solo noi che siamo arrivati alle fasi finali, proprio tutto il gruppo. Io mi sono diplomato nel periodo del Covid, non abbiamo fatto nemmeno la gita del quinto anno. Ecco, Nuova Scena è stata la mia gita, e nella foto vedo tutti noi, in hotel, a fare casino, ridere e scherzare».

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