Esce venerdì 24 gennaio «Mastro Simone», nuovo singolo del cantautore lucano Alberto Giovinazzo, originario di San Chirico Raparo (Pz). Distribuito dall'etichetta Roka Music, il brano - che anticipa l'album Humus, e di cui vi mostriamo in anteprima il video ufficiale - dà voce al fenomeno del caporalato, tanto presente quanto nascosto nel nostro tessuto sociale, specialmente al Sud. Un vero e proprio documentario sonoro che racconta storie dimenticate, fondendo il calore del blues tradizionale con melodie più moderne. Il videoclip, diretto da Massimo De Masi, segue il viaggio di un caporale, interpretato dallo stesso Giovinazzo, simbolo di sfruttamento e controllo.
Un brano sensibile e profondo che accende un riflettore su una tematica spesso dimenticata: da dove arriva questa attenzione?
«Le mie origini lucane hanno influito molto, perché per natura non riesco ad ignorare i messaggi di aiuto che provengono dalla mia terra e dalle persone che la abitano. Uno di questi è quello del caporalato, piaga ormai consolidata nei campi della Basilicata e non solo, dove migliaia di persone vengono impiegate nel settore agricolo per la produzione di frutta ed ortaggi, sotto il sole rovente delle torride estati meridionali o nelle asfissianti serre fatiscenti per turni di lavoro interminabili. Ho conosciuto personalmente chi è costretto a vivere di questo, a causa di numerosi fattori che non offrono un’alternativa dignitosa e regolarizzata, perciò non potevo non utilizzare l’arte che ho a mia disposizione per diffondere al grande pubblico il messaggio di questa gente, sperando di aprire una breccia nelle coscienze dei consumatori ed universalmente in ognuno di noi».
C'è una bella fusione di blues e suoni più moderni: cosa l'ha influenzata nel percorso artistico?
«Dal punto di vista stilistico il cantautorato italiano ha influito molto sul mio percorso di formazione; la scuola genovese è stata sin da subito fonte di ispirazione per trovare un modo con il quale raccontare le mie storie. La scelta sonora di questo brano in realtà è abbastanza insolita rispetto ai restanti che compongono l’album “Humus”, che uscirà in primavera; tuttavia ci tengo a sottolineare che ogni brano è caratterizzato da unicità, com’è il caso di Mastro Simone, il quale si rispecchia nel blues degli afroamericani nei campi di cotone ed ai “Field Holler”, ovvero i canti di lavoro che accompagnavano i giorni di schiavitù nelle campagne americane dell’800».
L'artwork della copertina è di forte impatto, ce lo racconta?
«Volevo continuare con la stessa linea stilistica che avevo utilizzato per i miei precedenti singoli, ovvero quella cartoon, dove mi è facile assumere le vesti e i connotati dei personaggi delle mie storie; un continuo dondolarsi tra la realtà ed il verosimile. L’ambientazione è rovente, ma allo stesso tempo tetra e grigia. I colori sono quelli dell’alba, quando i braccianti sono già arrivati nei campi, con l’emblematico furgone bianco scassato che porta dentro di sé persone senza volto, braccia da lavoro che non hanno più una propria identità, svuotati delle proprie caratteristiche che rendono qualsiasi essere umano unico e speciale.
Quanto incide dentro la sua musica il fatto di essere nato in una terra come la Basilicata e quanto sta crescendo, secondo lei, dal punto di vista culturale?
«Come ho già detto mi è difficile ignorare la mia terra d’origine, perché mi ha dato modo di acquisire virtù quali la riflessione e la ricerca interiore. Una terra che mi ha accudito per quasi 20 anni e che mi ha legato alla natura e agli aspetti più semplici della vita. La Basilicata è per me un libro delle basi e dei principi dell’uomo che continuo a leggere e riprendere quando mi sento smarrito nella complessità di altri territori. Quando visito dei borghi lucani scopro sempre delle figure artistiche che hanno contribuito alla crescita culturale della regione perciò ritengo che l’esigenza attuale di questo territorio sia saper diffondere la conoscenza di questi personaggi ai lucani stessi, che spesso sono ignari dinnanzi al panorama culturale della propria terra d’origine.
Ora quali sono i prossimi progetti?
«L’album “Humus” è una composizione di 10 brani, nati e terminati nell’arco di 5 anni, un tempo molto lungo in cui ho personalmente investito tutto ciò che sono e che ho avuto a disposizione nella mia vita. Il primo progetto per il mio futuro più imminente è pertanto dare la giusta dignità a quest’opera, fare in modo che arrivi agli ascoltatori attivi, a quelli realmente interessati, pronti ad apprezzare e criticare ogni singolo brano».