«Fine dining? La crisi c’è ed è immediata e fattuale. È quella che limita la capacità di acquisto e di possesso di noi occidentali, in un sistema consumistico e capitalistico in cui è necessario spendere più di quanto realmente essenziale». A Maurizio Raselli, chef-patron del “3 Rane” di Lecce, piace definirsi un «immigrato al contrario». Sette anni fa, infatti, l’amore l’ha portato da Alessandria nel capoluogo salentino, dove ha costruito la sua famiglia e ha dato vita “alla sala artigiana” da cinque tavoli che è il nucleo fondante del “3 Rane”. La sua opinione sullo stato di salute del fine dining (mangiare raffinato) arriva mentre cammina a piedi nudi in campagna, «fra i noccioli del Piemonte», nei pochi giorni dedicati alla terra d’origine. Durante l’anno, infatti, per l’allievo di Giorgio Locatelli (con alle spalle un lungo curriculum nella luxury hotellerie), c’è l’impegno della cucina, una filosofia intrisa della lunghissima formazione internazionale e dei valori personali maturati sul campo, anzi, ai fornelli. «Sì, è vero. Il fine dining è in crisi. Ed è una crisi che investe ogni cosa, a partire dalla prima frontiera che sente l’onda lunga della flessione della spesa che quest’etichetta implica. Ma si badi bene, in crisi sono le etichette, non i contenuti. Io ora mi trovo a parlare di lusso con i piedi nudi nell’erba», ha spiegato lo chef. Una rivoluzione di valori, forse, o un fisiologico cambiamento, in fondo «le cose non restano mai uguali»: «Se negli anni Ottanta non potevi essere un vero manager se non mangiavi il sushi con le bacchette, simbolo di uno status sociale e produttivo, oggi i top del mondo vengono da me per il brasato. È una meccanica diversa, in cui l’immagine viene sottoposta alla concretezza».
Un discorso di etichetta in crisi, dunque, lì dove «fermo restando l’eccellenza della materia prima utilizzata, l’unico elemento che differenzia lo spaghetto al pomodoro di Bottura da quello cucinato dalla sciura Maria nella trattoria del Miramonti è proprio l’etichetta del fine dining». Errore grossolano secondo il patron del ristorante leccese, «perché la capacità di percepire il gusto e l’eleganza, la finezza o, in caso contrario, la grezzitudine, è del fruitore, non di chi somministra il servizio». Insomma, facile intuire che «esistono osterie di paese con un livello di onestà, etica e ricerca della materia prima che esaltano il cibo molto di più di quanto possa fare un luogo con l’insegna del fine dining» e che «non dobbiamo vivere il lusso come classismo, perché costoso o caro non significano di lusso ed esclusivo». La cucina, effettivamente, è per sua natura inclusiva, soprattutto nella cultura italiana, «e il vero concetto del fine dining è mettere le persone a proprio agio, qui e ora». Inevitabile, poi, è la stoccata di Maurizio Raselli a chi insegue le stelle come unico trofeo di grandezza o ai nuovi influencer della cucina: «Il futuro della cucina non è nei ristoranti, ma nei palati, e soprattutto noi cuochi non siamo artisti o pittori, non creiamo beni che restano nel tempo; offriamo un’economia di servizio. Ciò che mangiamo finisce in bocca e poi torna in natura». In Puglia, secondo il ristoratore, «c’è ancora poca consapevolezza della propria storia e del valore di un sistema culturale millenario che riguarda l’ospitalità mediterranea»: «Siamo gente di mare, che ha accolto testimonianze da tutto il pianeta. Come possiamo imprigionarci nei confini di un’etichetta? Alla Puglia gastronomica, che ritiene di poter crescere soltanto inseguendo la luce delle stelle Michelin, dico che sbaglia. La nostra forza è la mediterraneità, la condivisione a tavola, è spezzare il pane, non sicuramente la cantina guarnita o il francesismo nei piatti. Io non ho mai voluto la stella, preferisco lavorare per gli ospiti, avere i loro sorrisi, senza sentirmi stellato e frustrato». Il problema di fondo «non sono quei quattro che combattono per avere la prima o la seconda stella, ma i 400mila ristoratori che non riescono a pagare le tasse, nonostante lavorino ogni giorno», ha puntualizzato Raselli.
Il futuro della ristorazione in Puglia è già il suo presente, quindi, con stellati che volgono verso brigate giovani, cibo più fruibile, menu leggibili e inclusione. «Aprite le porte e fate mangiare tutti quanti. Siate forti, è questo il segreto da insegnare ai ragazzi, forza e sacrificio. Bisogna dire loro che cucina è il sogno per un bambino che vuole fare questo lavoro e che nella gastronomia c’è tanto di più che stelle e gamberi in guida».