TARANTO - Sono sette le richieste di condanna avanzate dal pubblico ministero Salvatore Colella nei confronti di altrettanti imputati, tra cui quattro consiglieri comunali, coinvolti nell’inchiesta sui rimborsi al Comune di Taranto.
Nella sua requisitoria il pm Colella ha ripercorso le indagini e l’istruttoria del processo sostenendo che gli elementi raccolti abbiano portato alla luce gli elementi che provano la truffa ai danni dell’ente civico compiuta, secondo l’accusa, dai consiglieri (due in carica e due della precedente amministrazione) che, con la compiacenza di tre titolari delle imprese, tra il 2017 e il 2019, avrebbero in alcuni casi simulato l’esistenza di un contratto di lavoro e in altri casi gonfiato l’inquadramento contrattuale e quindi lo stipendio per ottenere maggiori rimborsi del Comune. Il magistrato inquirente nella sua discussione ha spiegato che le tipologie emerse in questa vicenda sono sostanzialmente due: il primo caso riguarda il consigliere in carica Piero Bitetti e la ex Floriana De Gennaro: il rappresentante dell’accusa ha infatti evidenziato che entrambi hanno da sempre lavorato nelle rispettive aziende a conduzione familiare, ma la loro non è una posizione da inquadrare come quella di un dipendente, ma di fatto parificata a quella di dirigenti o addirittura di proprietari che quindi, secondo la procura, non può essere ricondotta alla tipologia di contratto che consente di ottenere i rimborsi.
Il secondo caso è quello che riguarda invece la consigliera in carica Carmen Casula e l’ex Emidio Albani: per loro, il pm Colella, ha parlato di “contributi minimali” forniti alle aziende che non giustificano gli importi elevati che gli erano stati attribuiti. Non solo. Il magistrato ha evidenziato che gli stipendi venivano pagati solo dopo che il Comune rimborsava l’azienda: “In sostanza – ha detto il pm in aula – era come se il Comune fosse il datore di lavoro”.
Al termine della sua discussione il magistrato ha chiesto la condanna a 2 anni di reclusione per Bitetti, De Gennaro e un terzo imputato mentre per Casula e Albani e i loro rispettivi titolari la richiesta di condanna è salita a 2 anni e 8 mesi di carcere. Subito dopo la parola è passata all’avvocata Angela Buccoliero che per conto del Comune costituito parte civile, ha chiesto un risarcimento di danni pari a 300mila euro.
Il 4 marzo 2021, i militari delle fiamme gialle, coordinate all'epoca dal pm Maria Grazia Anastasia, notificarono un decreto di sequestro che bloccò beni per un ammontare complessivo di 255mila euro nei confronti di Albani, Bitetti, Casula e De Gennaro.
In particolare a De Gennaro viene contestata la percezione indebita di 112mila euro (di cui 28mila nel 2017, 55mila nel 2018 e 29mila nel 2019): la donna, infatti, sarebbe stata assunta due mesi prima delle elezioni amministrative 2017 nell’azienda di famiglia nella quale lavorava da tempo, ma con uno stipendio lordo superiore ai 5mila euro mensili. Per Bitetti, assunto nell’azienda di famiglia fin dal 2014, la somma sequestrata è di 83mila euro e in particolare per 20mila euro nel 2017, 45mila euro nel 2018 e 17mila euro nel 2019. Per Albani, invece, il sequestro ammonta a 30mila euro solo nel 2018. Infine per Casula i rimborsi contestati in totale sono pari a 28mila euro divisi in 2700 euro nel 2017, 16mila euro nel 2018 e quasi 9mila euro fino a luglio 2019.
Nelle prossime udienze sarà il collegio difensivo, composto tra gli altri dagli avvocati Carlo Raffo, Gaetano Vitale, Alessandro Scapati, Fabio Alabrese, Giuseppe Sernia, Andrea Digiacomo e Guglielmo De Feis, a evidenziare invece gli elementi che mostrerebbero l’estraneità degli imputati alle accuse formulate. Poi il giudice Costanza Chiantini dovrà ritirarsi in camera di consiglio per emettere il verdetto.