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Taranto, «Nell’area del porticciolo in località Blandamura nuovo rischio abusivismo»

Taranto, «Nell’area del porticciolo in località Blandamura nuovo rischio abusivismo»

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Taranto, «Nell’area del porticciolo in località Blandamura nuovo rischio abusivismo»

Il Riesame: «Senza il sequestro i lavori potrebbero continuare». Nell’area eseguiti taglio ed estirpazione della macchia mediterranea e realizzazione di una strada e un’area parcheggio

Giovedì 07 Marzo 2024, 12:26

TARANTO - Le indagini hanno rivelato «con assoluta chiarezza» la realizzazione abusiva di taglio ed estirpazione della macchia mediterranea e della realizzazione di una strada e un’area destinata a parcheggio».

È quanto scrivono i giudici del Riesame nelle motivazioni dell’ordinanza con cui hanno confermato il sequestro dell’area costiera su cui era prevista la costruzione del porticciolo turistico in località «Blandamura - San Francesco degli Aranci», sulla litoranea di Taranto. Il collegio presieduto dal giudice Patrizia Todisco, nelle 14 pagine notificate nei giorni scorsi hanno infatti confermato le accuse mosse dal pm Filomena Di Tursi che ha messo sotto accusa sette persone. Inquinamento ambientale, distruzione di bellezze naturali e poi abuso d’ufficio e falso sono le accuse mosse a vario titolo dal pm Di Tursi nei confronti di Massimo Calò, Maria Grazia Greco e Giuseppe Ignazio Todaro, i primi due amministratori della società che ha eseguito i lavori per la costruzione della struttura e il terzo direttore dei lavori, a cui si aggiungono poi quattro dirigenti comunali: l'architetto Mimmo Netti, Eugenio De Carlo, Erminia Irianni e Maria Ausilia Mazza.

Era stato il gip Fulvia Misserini a disporre i sigilli all’area che poi il Riesame ha confermato spiegando che sussiste il pericolo che revocato il sequestro «possano essere utilizzate per la prosecuzione e l’ultimazione dei lavori oggetto della concessione in argomento, con conseguente aggravamento e protrazione delle conseguenze delle condotte abusive già poste in essere e concreta possibilità di reiterazione delle stesse: pericolo tanto più concreto ed elevato, sol che si consideri - hanno aggiunto i magistrati - la rilevanza degli interessi economici legati alla realizzazione del progetto da parte della società amministrata» e la «indubbia spregiudicatezza alla quale sembrano rimandare, per quanto sin qui accertato». Insomma esiste ancora il pericolo che i lavori ritenuti “abusivi” e dannosi per l’ambiente possano continuare.

Al termine dell’inchiesta condotta dai carabinieri del Gruppo Forestale e partita dalle denunce dai cittadini di Leo Corvace e Giovanni Nardin, il pm Di Tursi contesta a Greco e Calò l’ipotesi di inquinamento ambientale e lo sfregio alle bellezze naturali perché avrebbero eseguito in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico una serie di «lavori di taglio ed estirpazione della macchia mediterranea» su una superficie quasi 7mila metri quadrati «senza la preventiva autorizzazione paesaggistica» e causando così «una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile di porzioni estese e significative del suolo, della flora e della fauna». All’indagata Greco insieme a Giuseppe Ignazio Todaro, inoltre, vengono contestate le stesse ipotesi di reato per aver estirpato altri 400 metri quadrati di macchia mediterranea anche in questo caso senza autorizzazione paesaggistica così da compromettere lo stato della natura e distruggendo o alterando «le bellezze naturali – aggiunge il pm Di Tursi – dei luoghi soggetti a speciale protezione». Non solo. Sempre contro Greco e Todaro è formulato anche l’accusa di aver costruito una strada e un'area destinata a parcheggio «mediante – si legge negli atti dell’inchiesta - l'utilizzo di pietrisco e materiale stabilizzante su una superficie complessiva di 6.700 metri quadrati»: insomma, secondo l’accusa, dove un tempo c’era la macchia mediterranea ora c’è illegittimamente un parcheggio. Nei confronti di Mimmo Netti, ex dirigente comunale ora in pensione, e Maria Ausilia Mazza è contestata la determina con la quale fu rilasciata a Calò la concessione demaniale marittima per la costruzione e gestione del porticciolo con annesse strutture e servizi e approvata la bozza del contratto che prevede una concessione per poco più di 48 anni.

Nello stesso capo d’accusa, però, il pm Di Tursi ha spiegato che quella determina era «atto conseguenziale alla illegittima decisione conclusiva del Commissario ad Acta» che era stato individuato per risolvere il contenzioso amministrativo. In particolare la procura ritiene che nel 2015 il commissario avesse firmato la concessione anche sulla base di parere favorevole della Soprintendenza per i beni archeologici e paesaggistici che era stato reso nel 2013, be 12 anni prima, anche se riconfermato nel 2014. Ma non solo. La decisione del commissario avrebbe fatto riferimento a un elaborato grafico di progetto diverso da quello sul quale si era pronunciata la Soprintendenza: il nuovo elaborato, infatti, prevedeva non solo un parcheggio auto per i visitatori che prima non c’era, ma anche l'aggiunta di altri parcheggi auto per i proprietari di posti barca.

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