Taranto, tentano di entrare in Tribunale con coltelli e tirapugni: 5 denunciati
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«Ambiente svenduto»
Mimmo Mazza
14 Gennaio 2021
TARANTO - Quando sembra arrivato al momento del rush finale, ovvero della discussione con requisitoria, arringa e dunque sentenza, finisce con l’impantanarsi il processo Ambiente svenduto, chiamato a fare piena luce sul presunto disastro ambientale provocato dalla gestione targata Riva dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto nel periodo 1995-2013.
La corte d’assise ieri mattina ha deciso di acquisire la consulenza redatta da Giuseppe Pompa, teste della difesa il cui controesame non è terminato a causa di problemi di salute. La corte (presidente Stefania D’Errico, giudice a latere Fulvia Misserini e sei giudici popolari) ha così deciso di procedere oltre. Un oltre però alto quasi trenta faldoni, quelli plasticamente portati in aula dal collegio difensivo che ha provveduto a far stampare i due cd depositati alcune udienze fa dal pubblico ministero Mariano Buccoliero. Si tratta degli esiti di indagini integrative compiute dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria che la pubblica accusa intende far entrare negli atti del dibattimento. La difesa ha eccepito su tale produzione-monstre, ritenendola alla stregua di un processo nel processo. Così la corte d’assise si è chiusa in camera di consiglio per decidere il da farsi anche alla luce della ulteriore produzione documentale fatta dalle parti civili.
Alla fine, alle 19.30 è stata letta una ordinanza con la quale la corte ha deciso l’acquisizione di tutti i documenti prodotti da pubblica accusa, difesa e parti civili (ad eccezione di alcune consulenze mediche prodotte dal Codacons) mentre non è stata accolta la richiesta della difesa di controprova sui documenti depositati dalle parti civili.
Di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele suoi luoghi di lavoro, alla corruzione, al falso e all’abuso d’ufficio rispondono i fratelli Fabio (detenuto agli arresti domiciliari per questo processo) e Nicola Riva, figli del defunto patron Emilio, l’ex direttore del siderurgico Luigi Capogrosso, l’ex pr Girolamo Archinà, l’avvocato Francesco Perli, i fiduciari Lafranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino e Enrico Bessone. Alla sbarra poi ci sono i componenti della galassia Ilva finiti sotto processo per alcuni singoli reati-fine (l’ex prefetto di Milano, Bruno Ferrante, chiamato alla presidenza dell’Ilva pochi giorni prima del sequestro del luglio 2012), ad esempio Salvatore De Felice (presidente del Pd di San Giorgio Jonico e capolista alle amministrative del prossimo 5 giugno, fatto al centro di roventi polemiche), l’ex consulente della Procura ed ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti. Alla sbarra, tra gli altri, l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, il sindaco Ezio Stefàno, accusato di abuso d’atti d’ufficio; l’ex governatore pugliese Nichi Vendola, per concorso in concussione aggravata con Fabio Riva, Perli, Capogrosso e Archinà, in quanto avrebbe condotto a più miti consigli il direttore dell’Arpa, Giorgio Assennato. Processo, infine, anche per tre società, ai sensi della legge 231 del 2001: Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici.
Prossimo round lunedì prossimo quando sarà riascoltato per alcuni chiarimenti il perito Antonio Caforio, trascrittore delle intercettazioni, e saranno presentate e discusse eventuali richieste di integrazione probatoria. La corte d’assise ha auspicato di iniziare le discussioni per fine gennaio.
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