Quando ci saremo messi alle spalle questa brutta prova del coronavirus, torneremo a guardare la nostra città, la nostra casa comune, con occhi diversi, persino con desideri diversi. Probabilmente avremo imparato la lezione che i rapporti personali e le esperienze all’aria aperta non si possono facilmente sostituire con un profilo Facebook. Avremo finalmente capito che la vita è fatta di cose semplici, di ricordi, di risate, di abbracci, di bambini che corrono dietro ad un pallone, di passeggiate sotto gli alberi della propria città.
Una città che riprenderà presto il suo cammino, nessuno di noi vuole arrendersi, rispetto ai tanti programmi, ai cantieri, agli eventi messi in campo prima della pandemia. Taranto continuerà a cambiare, sarà sempre meno la città dell’acciaio e sempre più uno dei luoghi maggiormente eccentrici, attrattivi e belli di Italia e del Mediterraneo. Anche l’idea che abbiamo del nostro posto di lavoro non resterà la stessa. Ci sarà un prima del coronavirus e un dopo.
Ed è pensando alla città che i tarantini vorranno ritrovare e a quella lezione che stiamo metabolizzando, con un occhio ai più generali fatti che stanno modificando per sempre la storia sociale ed economica dell’umanità, non solo di Taranto, come per esempio il cambiamento climatico e la risposta che ad esso sta immaginando con il «green deal» l’Unione Europea, che abbiamo deciso di riposizionare alcune importanti risorse del nostro bilancio e varare nuovi ambiziosi progetti per accelerare il nostro piano di transizione ecologica, economica ed energetica denominato «Ecosistema Taranto».
In questi giorni stiamo lavorando alla stesura degli indirizzi con i quali, nel periodo 2021-2027, la città e la sua comunità aderiranno al Just Transition Mechanism europeo, nel quale per la prima volta non saranno rilevanti le misure finanziarie, quanto le proposte per trasformare il nostro modello di convivenza e di sviluppo verso la perfetta neutralità climatica. E sì, non c’è più alcuno spazio per l’Ilva che abbiamo conosciuto e che qualcuno si ostina a difendere, sulla base di teorie socio-economiche che quel coronavirus ha già seppellito per sempre. Quindi, vivremo e lavoreremo in maniera differente, con altre priorità.
E tra queste priorità, proprio la qualità dell’ambiente e dei servizi della nostra casa comune, la città, e come spenderemo in essa il nostro tempo, lavorativo o libero che sia. La raccolta differenziata dei rifiuti, piuttosto che le linee bus elettriche veloci - le Brt -, o i playground in ogni quartiere, come il potenziamento della pubblica illuminazione in periferia, insieme naturalmente alle misure di sostegno alle attività produttive che sono allo studio da parte del Comune di Taranto, sono già una parte delle soluzioni che Ecosistema Taranto sta fornendo a quella richiesta di priorità, di qualità, di vita dopo la pandemia. Ma è il momento di un altro tassello fondamentale, che troverà già questa settimana posto in una specifica scheda per il Cis Taranto. Prima ancora che con il restyling dei nostri edifici storici o con la realizzazione di impianti per i Giochi del Mediterraneo del 2026, vogliamo cambiare lo «skyline» e la percezione stessa che i tarantini hanno della loro casa comune con gli alberi, migliaia di alberi, dappertutto intorno alla città, come una cintura verde a proteggere questo sogno di rinascita. Se torneremo a vivere pienamente e con soddisfazione gli spazi intorno a noi, forse sapremo raccontarli meglio, perciò saremo diventati quella città fatta di bellezza ed opportunità a cui stiamo tutti insieme lavorando.
Vogliamo che i bambini di Taranto crescano col ricordo che, dopo il coronavirus, spuntarono alberi in ogni dove e cambiarono lo stile di vita e la voglia di fare di tutti i tarantini. Sarà la nostra risposta più rumorosa a pandemie, crisi del capitalismo, cambiamento climatico, globalizzazione, ingiustizia sociale, ecc.
Taranto è cresciuta lungo gli ultimi due secoli con una forte concentrazione urbanistica, riservando poco spazio alle aree verdi. Quello spazio ce lo prenderemo allora tutto intorno a dei quartieri che non possono crescere oltre. Con questa filosofia lavoriamo perché la foresta urbana ai Tamburi sia solo il primo grande tratto di una «green belt», un vasto circuito verde che nell’insieme possa costituire una delle dotazioni urbane più grandi di Italia. Alterneremo aree attrezzate a semplici boschi urbani, la sezione est di questa cintura verde sarà composta per l’appunto dalla forestazione ai Tamburi e dagli interventi che realizzeremo a Paolo VI, a cominciare dalla riqualificazione del Parco del Mirto. La sezione nord si fonderà sull’istituendo Parco del Mar Piccolo, dalle zone intorno alla foce del Galeso fino al Parco Cimino, passando per la Palude La Vela. La sezione ovest sarà invece realizzata tra la Salina Piccola e Collepasso, con al centro una foresta urbana di dieci ettari e di circa duemila alberi presso l’area delle Mura Greche. E infine, una ipotetica sezione sud troverà spazio tra le aree che si stanno acquisendo a Taranto 2 e le Tre Terre - Talsano, Lama e San Vito -, il cui Piru è in dirittura di arrivo ed includerà un parco rivierasco sul Mar Grande, come già indicato dal nostro piano delle coste. Sarebbe magnifico se riuscissimo a consentire a cittadini e visitatori di percorrere l’intera «green belt» a piedi o almeno in bicicletta.
Noi pianteremo migliaia di alberi, dappertutto, anche nottetempo, non ci fermerà alcun vincolo o burocrazia, è finita un’epoca grigia, nessuna autorità commetterà il delitto di togliere questo orizzonte ai tarantini. Il coronavirus passerà e niente sarà come prima per Taranto.