Prima dell’avvento della Var, quando in un’area di rigore un paio di giocatori avversari cadevano a terra, solitamente l’arbitro concedeva una punizione a favore di chi difendeva, applicando il cosiddetto «fallo di confusione». E la confusione causata da una «stratificazione di leggi, circolari, sentenze di merito e legittimità» ha portato il procuratore Carlo Maria Capristo, l’aggiunto Maurizio Carbone e il sostituto Lucia Isceri a chiedere al gip Vilma Gilli (che l’ha concessa) l’archiviazione della maxi inchiesta sulla canapa light denominata «Affari in fumo» che contava 56 indagati per detenzione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, con 48 negozi (39 nella provincia di Taranto; 9 tra Campania, Calabria, Lazio e Lombardia) che commercializzano la cosiddetta «cannabis light» perquisiti e una rogatoria internazionale con la Svizzera avviata. L’indagine ha avuto inizio nell’ottobre del 2018 quando è stato eseguito un sequestro di circa 9 chilogrammi delle sostanze considerate fuori legge da un distributore automatico «H24», ubicato nelle vicinanze di due scuole di Taranto.
Le operazioni di sequestro avevano interessato, oltre all’impresa titolare del predetto distributore, anche le due società fornitrici della «cannabis light». Quel sequestro non fu convalidato dal giudice per le indagini preliminari Vilma Gilli per ragioni di natura temporale ma il magistrato emise comunque decreto di sequestro a carico dei sei indagati, disponendo l’esame del materiale finito sotto chiave, esame che rilevò in alcuni casi percentuali di Thc superiori allo 0,5 per cento e anche allo 0,8. Grazie all’esame delle fatture di acquisto e vendita, i militari ricostruirono la filiera commerciale individuando i distributori su base nazionale, i rifornitori di zona e gli esercizi al dettaglio attivi nel capoluogo ionico, identificando l’intera compagine commerciale di quello che venne definito dagli inquirenti un vero e proprio mercato illecito, dilagante in tutto il Paese. Solo che, mentre a Taranto e provincia scattarono le chiusure degli esercizi commerciali che vendevano solo canapa light e dei distributori automatici h24, in altre zone d’Italia la vendita restò sostanzialmente libera, per le decisioni altalenanti dei vari tribunali.
Così, dopo aver anche chiesto un incidente probatorio al gip per blindare gli accertamenti tecnici sul materiale sequestrato, la Procura ha cambiato rotta, ritenendo di valorizzare «la situazione di incertezza» citata dalle Sezioni unite della Cassazione nella sentenza del luglio 2019, che avrebbe portato gli indagati a commettere un errore inevitabile nel momento in cui hanno dovuto fronteggiare una norma che non brillava per chiarezza, dunque sollecitando l’archiviazione e però pure la confisca e la distruzione del materiale sequestrato, essendo comunque vietata la vendita. Il gip Vilma Gilli nel disporre l’archiviazione, ha rimandato integralmente alla richiesta della Procura, aggiungendo che «la piattaforma probatoria non si idonea a dimostrare il dolo del reato contestato»