BARI - «Ai playoff farò un tifo sfegatato per il Bari: una città che ho sempre amato. E quest’anno ho un motivo in più: sulla panchina biancorossa c’è un grande tecnico che merita di centrare l’impresa». Diretto, appassionato, pronto ad illustrare mille dettagli della fondamentale avventura che attende i Galletti. Malgrado siano passati 43 anni dalla sua avventura barese, Giuseppe Papadopulo resta legatissimo alla città di San Nicola: 65 le sue presenze in biancorosso dal 1977 all’80, ma… «magari non tutti lo sanno, ma almeno due volte sono stato ad un passo dall’approdo sulla panchina barese», svela. «Accadde sia poco dopo che si concluse il lungo ciclo di Eugenio Fascetti, sia nel 2006, quando arrivò la chiamata del Palermo. Purtroppo, non ci siamo mai trovati con i tempi, ma sarei stato felice di allenare il Bari, così come ricorderò sempre con affetto Antonio Matarrese che fu il mio presidente da calciatore, don Vincenzo che mi cercò da tecnico, il direttore Carlo Regalia… Ragazzi, qui parliamo di una piazza con tradizioni e potenziale pazzesco: è l’ora di riprendersi la categoria che spetta ad una città da serie A».
Già, il massimo campionato: Papadopulo l’ha conquistato alla guida del Siena (dal 2001 al 2004, aggiungendo una brillante salvezza sul palcoscenico più prestigioso) nel quale era un pilastro Michele Mignani, poi con il Lecce (2008) partendo proprio dal terzo posto, unico allenatore a vincere i playoff con una squadra pugliese. Trionfi di una carriera che (tra le varie esperienze in 27 anni di mestiere) l’ha visto protagonista della prima storica promozione in B dell’Acireale (1993), autore di una rimonta centrata con la Lazio in A (2005), condottiero del Palermo (2006) che si spinse fino agli ottavi di finale di Coppa Uefa.
Allora mister Papadopulo, si aspettava un simile exploit del Bari?
«Reputo una scelta sempre intelligente partire dal blocco che ha vinto un campionato perché sfrutti l’entusiasmo, la coesione di un gruppo, le conoscenze che si sono acquisite. In tal senso, il Bari partiva da una base forte: Di Cesare, Antenucci, Maiello, Pucino, Mazzotta sono tutti elementi che garantivano da un lato la forza dello spogliatoio, dall’altro una vasta esperienza anche in B. Tuttavia, il livello del torneo era davvero alto per aspettarsi addirittura il terzo posto in classifica: per continuità di rendimento, la squadra pugliese avrebbe già meritato la serie A sul campo».
I playoff dalla terza posizione: secondo la sua esperienza diretta come si affrontano?
«Dipende da come ci si arriva. Saltare il turno preliminare e passare in finale anche in caso di doppia parità sono vantaggi oggettivi. Ammetto che con il Lecce temevo la beffa: fino all’ultimo secondo della stagione regolare fummo in lotta per la promozione diretta, sfumata proprio a causa di una sconfitta alla terzultima giornata in casa con il Bari di Antonio Conte. Il rischio era subire un duro contraccolpo per l’obiettivo principale sfumato. Ecco, in tal senso, il Bari, invece, ha il vantaggio di conoscere già da un po’ il suo destino: raggiungere il Genoa sarebbe stato un “di più”, ma il distacco non era leggerissimo. La squadra può preparare gli spareggi con uno stato d’animo ideale e contando sulla spinta di un pubblico eccezionale».
Quali sono i principali rischi di questo mini torneo?
«Oltre agli aspetti scontati di arrivarci nella migliore condizione possibile sul piano fisico e con il maggior numero di calciatori per avere tante scelte a disposizione, secondo me è fondamentale la prima partita che si giocherà in trasferta. Un buon risultato ti dà forza, carica e consapevolezza. Al contrario, una sconfitta ti pone già con le spalle al muro. Perciò, il Bari dovrà essere lucido nel gestire il primo match e non perdere il vantaggio dei due risultati su tre che conta molto soprattutto a livello psicologico»”.
Michele Mignani è stato un suo allievo: come lo ricorda?
«Molto più che un allievo. Michele è stato un pilastro, per certi versi il simbolo del mio Siena. Ero sicuro che avrebbe intrapreso la strada da allenatore: ha occhio, intelligenza, voglia di migliorarsi. E si avvale di un collaboratore straordinario come Vergassola, altro ragazzo che ho avuto alle mie dipendenze: Simone è molto più di un “vice”. Entrambi arrivano a giocarsi la A al momento giusto, dopo una lunga gavetta: sarebbe bello vederli protagonisti a lungo di questa rinascita del Bari»”.
Gli consiglierà qualcosa in questo frangente decisivo e delicato?
«Non mi permetterei. Sono contento se Michele porta con sé alcuni dei concetti su cui lavoravamo. E devo dire che l’attenzione nella ricerca dell’equilibrio, la mentalità propositiva, ma non scriteriata, rappresentano certezze su cui ho sempre cercato di lavorare anch’io. Non posso negare che avrei tanta voglia di chiamarlo per comunicargli il mio affetto, ma… aspetterò. Nel calcio la scaramanzia conta. E lui ora ha bisogno di concentrarsi sull’obiettivo. Se dovesse arrivare quel traguardo che tutti anelano, beh avrà fatto un grande regalo anche a me!».