Chissà se nel 2045 rideremo ancora delle stesse cose. O se, tra un’auto volante e un visore di realtà aumentata, ci sarà ancora bisogno di un comico capace di farci sorridere, e magari un po' riflettere, con la sua ironia tutta toscana. Intanto, nel presente c'è: è Giorgio Panariello, che questa sera alle 21 porta al TeatroTeam di Bari il nuovissimo spettacolo «E se domani...». Uno show ironico e pungente che ci porta in viaggio nel futuro insieme a tanti personaggi per raccontare cosa ci aspetta fra vent'anni circa. Spoiler: non ci si annoia.
Panariello, uno spettacolo tutto nuovo in cui lei torna da un ipotetico viaggio nel futuro: da dove è arrivata l'idea?
«Quando io e la mia squadra di autori, straordinaria, abbiamo iniziato a scrivere, era primavera inoltrata, e sapendo di dover andare in scena a fine anno volevamo qualcosa che durasse nel tempo. Oggi una cosa del mattino, già nel pomeriggio non è più buona, gli scenari cambiano. E allora abbiamo scelto di giocare d’anticipo, parlare di futuro, argomento che mi incuriosiva molto. E lo spettacolo, secondo me, fa una cosa buona, di questi tempi: salta la realtà».
Ma se lei avesse davvero la possibilità di vedere il futuro e tornare indietro, cambierebbe qualcosa del presente?
«Molto difficile, perché qualsiasi cosa tu voglia cambiare, si altera il corso delle cose. Più che altro racconto un futuro che non è poi così lontano: non è fantascienza, né qualcosa di distopico. Si basa su una ricerca fatta attraverso un podcast che ho realizzato prima di questo spettacolo, raccogliendo materiale sull’intelligenza artificiale, sul cibo, sulla comunicazione, da persone che il futuro lo guardano negli occhi tutti i giorni. Questo mi ha permesso di raccontare un futuro possibilissimo: le auto volanti o che si guidano da sole, i robot che già ci sono, si cominciano a fare le prime farine con gli insetti...».
E in questo «futuro» ci sono i suoi personaggi storici?
«Ovviamente! Mario il bagnino apre uno stabilimento balneare sulla Luna, nel Mare della Tranquillità; Merigo l’ubriaco ruba la bicicletta di Elon Musk per andare nello spazio; Renato Zero si ritrova su Marte, ha speso un sacco di soldi e viaggiato sei mesi per arrivare in un posto dove sono solo in due, e si domanda se non fosse stato meglio andare a Ostia. Mi sono divertito moltissimo».
Oggi l'intelligenza artificiale scrive canzoni, sceneggiature, barzellette... La spaventa l’idea che un giorno un algoritmo possa capire meglio di un comico cosa fa ridere la gente?
«Forse già lo fa. Ma il problema è far ridere davvero le persone. Non conta tanto la battuta, quanto "come" la dici. A volte fa più ridere una pausa, un silenzio, una smorfia, tempi comici che l’intelligenza artificiale non avrà mai. Può dare spunti, sì, ma se c'è una cosa che ho capito da questo spettacolo è che qualunque sia il futuro, ci sarà sempre l’umanità a guidarlo e ispirarlo».
Sembra che lei abbia un buon rapporto con la tecnologia: cosa ne pensa invece dei suoi lati oscuri, come l'isolamento, specialmente fra i più giovani?
«È vero, da una parte isola moltissimo. Però - lo dico anche in scena - questo futuro lo vedo sempre in modo positivo, per l'aiuto che la tecnologia ci darà, per esempio in medicina. Anche il metaverso e i mondi virtuali da una parte sono forse esclusivi, ti chiudi in camera e non ti muovi, ma dall’altra possono essere una grande forma di compagnia. Se una persona è sola o fatica a farsi capire nel "mondo reale", non ci vedo niente di male a trovare nel web un po’ di svago, anche se certo, il rischio dell’isolamento totale esiste, e bisogna farci attenzione soprattutto con i ragazzi».
La nostra memoria, al momento, è ancora «analogica»: c'è un ricordo nella sua carriera che non scambierebbe mai con la più perfetta realtà virtuale?
«Senz'altro la mia prima trasmissione radiofonica. Oggi le radio sono molto televisive, all’epoca ero da solo, con due piatti e un microfono, e ascoltando i grandi network immaginavo anch'io di avere dall’altra parte un regista: "Bene, adesso Filippo ci farà sentire l'ultimo dei Duran Duran", e in realtà ero io che facevo tutto. Mi ha sollecitato l’immaginazione, sviluppato la fantasia: non lo cambierei con niente al mondo».
















