«Per favore, scriva genericamente Sud Italia... vivo al Sud da quando avevo 9 anni», dice Pegah Moshir Pour, la ragazza iraniana che ha portato sul palco di Sanremo i divieti e le ingiustizie del suo Paese afflitto dall'assenza di libertà. In treno, tornando dal Festival, sembra quasi una giovane donna impaurita, che si rende conto della denuncia fortissima arrivata a milioni di persone con la sua testimonianza. Ma è anche orgogliosa di averlo fatto, di aver reso pubblico il tormento di essere donna nella Repubblica islamica. «Ho paura da sempre, dal primo video che postai su Instagram il 20 settembre del 2022, video che ebbe subito 160mila visualizzazioni. Ma la paura e il fatto che sia entrata nella lista nera del governo iraniano, cosa che mi impedisce di tornare nel mio Paese non potranno fermarmi. Serve far conoscere e far capire cosa sta succedendo».
Pegah ha 31 anni, si è trasferita nel Sud dell'Italia dal 1999 con la sua famiglia. «I miei genitori volevano un futuro migliore per noi figli. Ho studiato qui Ingegneria edile architettura e ho un lavoro. Ma dall'età di 15 anni faccio l'attivista, perché credo che spiegare, dare informazioni, sia assolutamente necessario».
Come è arrivata a Sanremo? Ci racconti la telefonata di Amadeus!
«Eh sì, è stata davvero una sorpresa. Come comunità iraniana avevamo fatto la nostra email di richiesta, ma lui mi ha telefonato e quando ho sentito dalla sua voce la notizia dell'invito, mi sono davvero emozionata. Lui mi è sembrato molto umile e molto aperto: il testo è stato solo asciugato agli autori, ma è rimasto com'era. Comunque all'inizio ero tesa, lo confesso, ma quando Drusilla mi ha preso la mano, mi ha fatto molto coraggio».
Il coraggio della denuncia e della voglia di lottare...
«In Iran, la paura si è trasformata in coraggio quando le persone hanno capito che per la libertà era necessario buttare giù il regime. Io dall'Italia faccio del mio meglio: ricevo e posto video, racconto e anche se non potrò mettere piede nel mio Paese credo in quello che faccio. Ho ricevuto messaggi del tipo “Stai sempre attenta”; ci sono sconosciuti che tentano di entrare nel mio profilo Instagram e cambio la password di continuo, ma non mi fermo. Faccio cronaca, faccio da ponte. E pensate che questo tipo di informazioni si moltiplica grazie alla Rete, lo stesso Damiano dei Maneskin mi ha condiviso. Dare un messaggio e far capire a tutti cosa sta succedendo è fondamentale. Ma, pensate, l'algoritmo di Instagram “mette giù” i miei post perché ritenuti di contenuti violenti...».
Nel suo monologo a Sanremo ha raccontato tutti gli «stop» alle donne iraniane. È stata molto efficace, anche dicendo che mai nel suo Paese avrebbe potuto vestirsi e truccarsi così. E la strage dei cani?
«Sì anche questa è una cosa che pochi sanno: da noi uccidono i cani e spero che gli animalisti denuncino questa cosa terribile. La Repubblica Islamica tende a reprimere tutto ciò che è occidentale nella vita delle persone. Sembra un film surreale ma è la realtà. Io ho scelto come colore del mio vestito per Sanremo il pantone dell'anno, che ha il significato di dinamicità e rivoluzione. Anche il gesto di sciogliermi i capelli aveva un significato».
Come immagina se stessa se fosse rimasta in Iran?
«È una cosa che penso spesso e mi immagino in un carcere o sotto terra».
Ha speranze? La lotta porta a un risultato?
«La libertà si può inseguire e si può raggiungere. Se la gente si mobilita, se un post, una storia e un'informazione raggiungono dieci milioni di persone, dovrebbero vincere queste e non le dieci persone che governano».
Egonu ieri ha detto che l'Italia è un Paese razzista, lei che ne pensa?
«Capisco Egonu e sono d'accordo. Anche io come cittadina “straniera” ho conosciuto quelli che ci considerano gente arrivata con il cammello o terroristi o musulmani. Purtroppo è vero, c'è razzismo e io attraverso i progetti culturali ho cercato di spiegare cosa significhi essere di un'altra origine. I muri ci sono ma sono stereotipi che possono essere vinti».