Arthur Miller, in ‘Incidente a Vichy’, fa dire al pittore Lebeau: «Ci si stanca credere nella verità». La stanchezza a cui il fenomenale drammaturgo di New York fa riferimento è quella provocata dal peso delle responsabilità di ognuno di fronte ai mali del mondo. Sono quelle domande che ogni individuo pone a se stesso a generare stanchezza, data l’assenza di risposte adeguate: perché esiste il male? Perché esistono i soprusi? Perché subirli? Cosa posso fare per oppormi? Cosa posso fare affinché non si generino ulteriormente? Cosa posso fare affinché non danneggino i miei cari?
A tutto questo, spesso, non c’è risposta. Ancor meno reazione. Quindi ci si rifugia in inerzie apatiche, generatrici di stanchezza. Una spossatezza dell’anima talmente estrema da impedire a masse sempre più numericamente significative di andare a votare. Anche quando la verità riferita alla propria condizione imporrebbe ben altro impegno civile. I quesiti referendari odierni denunciano la debolezza del Parlamento italiano. La risposta a quesiti così tecnici doveva arrivare da deputati e senatori. I grandi temi di un tempo – divorzio, aborto, ecc. – arrossiscono alla colleganza con la trasformazione di un equo indennizzo. Ciò frastorna, annichilisce, stanca. Così appassiscono le intenzioni e le marine ioniche diventano più attrattive delle urne elettorali. La mia voce flebile, però, si unisce al coro di quelli che chiedono presenza ai seggi. Cari lettori, andate a votare ‘sti referendum. «Sì», «No»: votate come vi pare. Ma andateci. Difendete la forza della vostra opinione, per una volta non mediata da rappresentanti sovente smemorati, in quanto dimenticano artatamente di essere portavoce di volontà popolari, trasformandosi in propugnatori opportunisti della solo della propria. Votare è importante perché difende un principio democratico. Anche perché la somma delle tante stanchezze potrebbe portare alla rarefazione progressiva della chiamata alle urne, fino a stabilirne la sostanziale inutilità. Poi, nella particolarità della città di Taranto, c’è il ballottaggio. Due competono, uno vince. Due visioni divergenti del futuro della città si scontrano, contandosi voto su voto. Il futuro prossimo della città che fu di Archita è sulla punta secca delle matite che gli scrutatori consegneranno agli elettori. Venga bandita la stanchezza, allora. Per una volta vinca il vigore, che di ogni migliore son piene le fosse. Perché la verità c’è, i tarantini ci credono e Taranto la merita.