Buio fitto in sala. Si ode improvviso un crepitar di colpi, e lo spazio sonoro è campito in men che non si dica dalla fitta spareria di un campo di battaglia. Frastuono, dolore, urla arrangolate. Poi, stenebrato dal fascio di luce di un faro, il protagonista si materializza lentamente sulla scena e comincia a dar corpo alle parole di Louis-Ferdinand Céline per ricordare al pubblico quanto è immonda, assurda e insensata la follia della guerra. Lui è Giorgio Consoli, attore pugliese formatosi al Piccolo di Milano, il luogo è «Casa 131», teatro minimo di Sava del quale già scrivemmo su queste pagine, mentre lo spettacolo cui abbiamo assistito è una piccola gemma dall’evocativo titolo di Benvenuti al Cabaret Voltaire. La performance (di fatto una lettura drammatizzata, ma interpretata con sì vivo trasporto da sembrare opera a sé stante) ripercorre l’epopea del mitico Cabaret Voltaire, il locale nato durante il primo conflitto mondiale e che divenne culla del movimento Dadaista.
La rappresentazione sembra calzare perfettamente ai tempi in cui viviamo: non solo perché le straordinarie (e terribili) pagine iniziali di Viaggio al termine della notte, capolavoro di Céline, accompagnano lo spettatore nel cuore dell’assurdità bellica che sconvolse l’Europa tra il 1914 e il 1918, ma, raccontando della nascita del locale (a Zurigo, nella neutrale Svizzera) in quel contesto di sangue e distruzione, sembra davvero di rivivere le cronache di questi giorni, in cui mentre la minaccia nucleare e la stretta economica avvelenano i destini del mondo intero tutti noi continuiamo ad aggiornare, tra abitudine e sgomento, i nostri stati su facebook.
Attraverso la lettura del diario dello scrittore e regista teatrale tedesco Hugo Ball, fondatore del Cabaret, lo spettacolo ripercorre le vicende di un’esperienza culturale che, seppur attiva solo per cinque mesi, divenne luogo di aggregazione di giovani artisti e intellettuali in fuga dalla orrenda macelleria della Prima Guerra Mondiale, nonché culla del Dadaismo e fonte d’ispirazione per tutte le Avanguardie Artistiche europee del primo ‘900.
Il reading, prodotto dalla stessa «Casa 131» e accompagnato dalle splendide musiche dei Ninotchka (Mimmo Pesare), si chiude con la lettura del Manifesto Dadaista scritto da Tristan Tzara. Un folle caleidoscopio poetico; una feroce invettiva contro il buon senso comune, colpevole di aver ridotto l’arte a mera e sterile rappresentazione dell’esistente. Un gioioso e irriverente inno alla spontaneità dadaista. Non sappiamo se l’arte ci salverà, di sicuro aiuta a mostrarci nudi, vulnerabili, incastrati in quella che si rivela puntualmente come una perenne e letale farsa.