In Puglia (così come nel resto d’Italia) si pagano più pensioni che stipendi. Semplificando al massimo i numeri, in questo momento il sistema economico e sociale pugliese si regge sul lavoro di 1,2 milioni di persone mentre, sull’altro piatto della bilancia, ci sono quasi 1,4 milioni circa di pensionati ai quali si aggiunge una disoccupazione che sfiora il 12% e lavoro nero e irregolare al 16,1%.
«La Puglia - commenta Gianni Ricci, segretario generale della Uil di Puglia - è sempre più una regione senza prospettive per i giovani. Non è un caso che da un paio d’anni sia ormai stabile il sorpasso dei pensionati sui lavoratori attivi. Una tendenza che ci pone di fronte a due temi di estrema rilevanza: la necessità di rendere più attrattiva la nostra regione per le nuove generazioni di lavoratori e quella di garantire a una popolazione sempre più anziana un’assistenza efficiente e dignitosa». Come se non bastasse, nel Tacco d’Italia, secondo i dati della Cgia di Mestre, il 21,7% della popolazione ha più di 65 anni di età. Un saldo negativo tra lavoratori e pensionati che riguarda tutte le province pugliesi: Lecce è all’ultimo posto con un saldo negativo di 97mila pensionati in più rispetto ai lavoratori, la BAT è 63esima con un saldo negativo di 7mila unità, Brindisi è 69esima con un saldo negativo di 10mila unità, Bari è 83esima con un saldo negativo di 18mila unità, Foggia è 99esima con un saldo negativo di 37mila unità e Taranto è 101esima con un saldo negativo di 57mila unità.
«A ciò si aggiunga - continua Ricci - che la Puglia ha perso circa 200mila residenti negli ultimi vent'anni (come se l’intera città di Taranto fosse progressivamente scomparsa) a causa dell'emigrazione giovanile, con un calo demografico che ha portato la popolazione sotto i 4 milioni di abitanti, come rilevato da dati Istat. E che, in un contesto in cui i servizi socio-assistenziali mancano o sono oggettivamente insufficienti, il numero di anziani non autosufficienti è in aumento, così come quello dei pensionati che vivono in condizioni di povertà. È un dato di fatto che le pensioni riflettono il trend dei salari, che in Puglia sono i quart’ultimi più bassi d’Italia, con una disparità pensionistica tra uomini e donne che va dai 400 ai 700 euro. Se non si interverrà con misure concrete per invertire questo trend, sarà a rischio il futuro dell’intero sistema».
Un declino neanche troppo lento accompagnato dall’immobilismo delle istituzioni e della politica, sia nazionale che regionale. Una situazione destinata a peggiorare se non facciamo nulla ora. «Entro il 2027 - puntualizza il segretario generale della Uil di Puglia Ricci - in tutto il Paese andranno in pensione circa 3 milioni di lavoratrici e lavoratori, nel 2050 oltre il 37% dei residenti pugliesi avrà più di 65 anni, quindi mi pare più che evidente che siamo già in ritardo. È fondamentale aprire un confronto strutturato e permanente con il Governo nazionale per una riforma organica delle pensioni, capace di rispondere ai bisogni reali del nostro Paese. L’Italia è tra i Paesi Ue con l’età più alta per l’accesso alla pensione: 67 anni per entrambi i sessi. Ecco, noi pensiamo ad una pensione flessibile a partire da 62 anni, senza penalizzazioni, con il riconoscimento pieno dei lavori gravosi e usuranti, e la giusta attenzione per le donne – perché tagliare opzione donna? - e i giovani, che pagano il prezzo della precarietà, della disparità salariale o del lavoro di cura. E poi non ci stancheremo mai di ripetere la necessità di intervenire sui salari: lavoratori povero oggi saranno pensionati poveri domani. E senza attrarre sul territorio giovani leve, il sistema previdenziale e socio-economico è destinato a implodere su se stesso».
Infine, la questione assistenza. «Oggi il sistema pugliese non è in grado di assistere dignitosamente una popolazione che invecchia anno dopo anno. Con la Uil Pensionati abbiamo da tempo richiesto, vanamente, un confronto con il presidente Emiliano e con l’assessorato regionale alla Sanità sui temi più urgenti, come l’aumento delle rette nelle strutture per anziani, la condizione delle famiglie che si fanno carico dell’assistenza e l’annoso problema delle liste d’attesa. Da anni denunciamo assenza di programmazione, carenza di personale sanitario, medicina territoriale disomogenea, sprechi farmaceutici e liste infinite che spingono verso il privato, generando disuguaglianze e rinunce alle cure».