Sabato 06 Settembre 2025 | 11:54

La Puglia dei tesori incanta Giuli: «Addio al ministero dei privilegi, ora spazio alla cultura diffusa»

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

La Puglia dei tesori incanta Giuli: «Addio al ministero dei privilegi, ora spazio alla cultura diffusa»

Il ministro della Cultura Alessandro Giuli in visita a Barletta e Canosa annuncia: «Tra i progetti per il nuovo anno c’è un rafforzamento importante per le campagne in corso a Castro, a Bolsena e nel nord Italia»

Domenica 10 Novembre 2024, 06:37

11 Novembre 2024, 13:03

Ministro Alessandro Giuli, la sua giornata in Puglia tra quadri di De Nittis e la magnificenza di Castel del Monte, voluto da Federico II. Un argomento forte, beni culturali e bellezza possono resistere alla spending review determinata dal Patto di Stabilità e dalla stretta del ministro Giorgetti?

«Ho avuto la fortuna, durante questa giornata pugliese, di vedere, anche se solo da lontano, Castel del Monte che si staglia sopra gli umani pensieri, il museo De Nittis dedicato a un pittore che ha incantato Parigi e che oggi, da Barletta, affascina il mondo, gli scavi archeologici di Canosa e il museo diocesano di Andria. Sono la dimostrazione di quanto il patrimonio culturale pugliese sia eccezionale. E i nostri lettori potrebbero citare altrettanti luoghi magici gestiti dallo stato o da regione, comuni e privati. Questo patrimonio lo stiamo sostenendo. È necessario tutelarlo, conservarlo, valorizzarlo ma dobbiamo anche saperlo raccontare perché noi troppo spesso dimentichiamo quanta bellezza, quanta grandezza e quanta storia possediamo. E quanta fame di cultura ci sia nel mondo. D'altra parte la passione che ho scoperto in chi gestisce i nostri luoghi e negli sguardi dei ragazzi, di qualunque età, che ho incontrato a “Prima le Idee” ad Andria mi fa ben sperare.
Abbiamo lavorato duramente per tagliare rendite di posizione improduttive e francamente ingiuste e liberare energie feconde. Il Ministero non è - più - il regno del privilegio ma della cultura diffusa. Per questo entro fine novembre verrà discusso in Consiglio dei ministri il decreto Cultura. Siamo in una stagione difficile ma il Ministero della Cultura non solo non abbandonerà la propria missione ma, vedrete, rilancerà le proprie ambizioni».

Nei giorni scorsi ha fatto molto clamore una sua citazione sulla “cultura solare”, una citazione travisata da alcuni osservatori. Era un richiamo al «pensiero meridiano» di Franco Cassano. Nella sua esperienza al Foglio ha incontrato il sociologo barese, attento alle ragioni delle destre comunitariste, nonché molto apprezzato da Giuliano Ferrara…

«Certo il riferimento era a Camus e a Cassano, il senso di quel passaggio riguarda il sentire dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, un sentire plasmato dal pensiero filosofico delle origini, fondato sulla contemplazione, sull’armonia, sulla misura. Chi ha travisato lo ha fatto per malafede o per ignoranza, ma sono cose che purtroppo si devono mettere in conto e rispetto a cui si resta sereni. Lo stesso discorso vale per chi mi attribuisce un eloquio poco chiaro. Ma fa parte delle regole del gioco. Quando ci si “pizzica” in Parlamento, quando ci si confronta con giudizi anche taglienti con persone come Renzi, si tratta comunque di un gioco delle parti, in cui non manca mai il rispetto per le persone».

«Pensare a Sud», oltre che una intuizione di Cassano, è una delle priorità del governo Meloni con il Piano Mattei. Questa iniziativa politica della premier ha le coordinate culturali per accorciare le distanze dal fronte meridionale del Mare nostrum?

«La cultura e le politiche di cooperazione devono sempre andare di pari passo, credo molto nella diplomazia culturale, come ho potuto dimostrare nella mia precedente esperienza al Maxxi, in particolare con il progetto del Maxxi Med. In quel contesto Messina insieme a Taranto saranno fulcro di iniziative che irradiandosi in tutto il Mezzogiorno esalteranno i legami interculturali con gli altri Paesi dell'area mediterranea. L'Italia può mettere a disposizione dei Paesi africani le sue straordinarie competenze tecniche per la valorizzazione del patrimonio culturale africano. In quest'ottica continueremo a sostenere sulla Biennale di Venezia e a investire nel Sud d'Italia come ponte per il Nord Africa».

Il suo libro su Gramsci e l’esperienza al Maxxi ha come sottotitolo «Sillabario per un egemonia contemporanea». È possibile una riflessione sulle culture politiche del nostre tempo oltre gli steccati irriducibili del Novecento? Cosa intende per egemonia?

«L’egemonia culturale si costruisce, si forma dentro la società, non tanto e non solo attraverso un ricambio che è comunque fisiologico. Pensare oltre i vecchi steccati è necessario, persino doveroso. Vede non è realisticamente possibile pensare Gramsci senza Croce e Gentile, come non è possibile pensare oggi il liberalismo senza il suo contenuto sociale, né il socialismo senza le irrinunciabili libertà individuali. Ma per essere chiari non è nemmeno possibile pensare l’idea di nazione e i legami che essa garantisce senza porsi nella prospettiva del patriottismo inclusivo di cui parla un intellettuale contemporaneo come Yascha Mounk».

La vittoria di Trump. Lei è stato in passato intervistatore ad Atreju di Steve Bannon, spin del tycoon Usa. L’hanno sorpresa le previsioni errate di testa a testa dei media italiani, tutti più o meno pro Kamala?

«C’è una sequela di errori di valutazione da parte dei media italiani nei confronti delle elezioni americane. Ricordo che, quando ero al Foglio, fummo i primi, se non gli unici ad annunciare la vittoria di Bush contro Kerry nel 2004, a dispetto di ciò che si leggeva ovunque. In queste elezioni non è stato tanto Trump a vincere, quanto la sinistra che vive in una realtà parallela. Negli Stati Uniti la frattura tra popolo ed élite non si è ricomposta. Anche lì una sinistra strabica non si è accorta del ritorno di Trump, pensava che con la cultura woke, che ha caratterizzato l'egemonia nelle università statunitensi, avrebbe potuto amministrare un consenso che poi nell'America, che abbiamo definito profonda tante volte, stava da tutt'altra parte».

Il ritorno di «The Donald» segnerà una nuova stagione populista?

«In realtà il populismo non se n’è mai andato del tutto. Si manifesta a ondate che rifluiscono e poi ritornano come il sintomo di un problema irrisolto che è la frattura tra élite e popolo. Ora è evidente che il populismo non può essere la soluzione perché esso si presenta come protesta, denuncia e non come proposta e alternativa. Tuttavia, finché le classi dirigenti non comprenderanno che la politica deve ritrovare la sua profonda vocazione sociale e popolare - riannodando i fili della partecipazione, chiudendo la stagione dell’elitarismo tecnocratico - il populismo continuerà ad essere l’ospite inquietante dell’occidente e continuerà a bussare alla porta per chiedere udienza».

Tornando alla Puglia, procedono spediti gli scavi archeologici nel santuario di Athena di Castro, con la supervisione del professor Francesco D’Andria. L’emergere dei reperti ha sempre una lettura fatale. Athena che messaggio incarna per l’Europa claudicante?

«Tra i progetti per il nuovo anno c’è un rafforzamento importante per le campagne di scavo a Castro, a Bolsena e in alcune località del nord Italia. Il messaggio di Athena è tanto semplice quanto potente: quello dell’intelligenza armata di virtù».

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