Una terra dal sorprendente radicamento socialismo senza (per ora) un partito autonomo. Basta leggere i nomi e le storie dei quattro sindaci dei capoluoghi pugliesi per vedere rispuntare la tradizione del «garofano»: è il caso a Bari di Antonio Decaro, a Brindisi di Pino Marchionna, a Barletta di Mino Cannito e a Lecce Carlo Salvemini. Il filo rosso è l’estrazione socialista, ovvero la tensione alla modernizzazione delle comunità e il permanere di una spinta per l’efficienza amministrativa che caratterizzarono la stagione migliore del decisionismo craxiano. Adesso c’è anche l’ipotesi che nel 2024 il Pd candidi, probabilmente dopo la roulette delle primarie, un esponente di tradizione socialdemocratica, il deputato Marco Lacarra.
Stefania Craxi, esponente di punta di Forza Italia e presidente della commissione Affari esteri del Senato, spiega così l’«anomalia» pugliese: «Quella socialista è una “civiltà” che ha lasciato sia gruppi dirigenti che figli. Una “civiltà” non scompare». E chiarisce anche il perimetro identitario: «È una cultura, quella socialista, della modernizzazione e del riformismo, che vuol dire accogliere le idee di progresso e armonizzarle con la realtà. Questa forza esiste». Sulla collocazione politica degli eredi del garofano, la Craxi è netta: «I socialisti a destra? I socialisti andati a sinistra, alla fine, sono tutti a casa. Sono, di fatto, l’unica riformista in parlamento. Sono dove c’è stato sempre l’elettorato socialista in questi anni, con la maggioranza degli italiani. I socialisti riformisti hanno fatto anche i ministri, con il secondo governo Berlusconi. Io sono presidente della commissione Esteri: il pensiero socialista è vivo e vitale, in grado di dare buoni frutti».
La vitalità di questo filone politico culturale è argomentata così da Gianvito Mastroleo, presidente onorario della Fondazione Di Vagno: «La longevità della tradizione risale agli anni sessanta-settanta, quando il Psi, non per trasformismo ma per calcolo politico, partecipava a giunte sia con la Dc che con il Pci. Risalta quindi la capacità di governo dei socialisti, perché il Psi è stata una forza sensibile alle autonomie locali in maniera profonda». Poi un dato storico: «La sezione “enti locali” del Psi nazionale, era guidata da personalità come il costituzionalista Silvano Labriola, il sindaco di Milano Aldo Aniasi e Giusi La Ganga, assistente universitario di Reviglio. Fu una vera fucina di formazione politica. Franco Gallo, poi presidente emerito della Corte costituzionale, teneva lezioni sulla finanza pubblica municipale. Non eravamo indottrinati come alle Frattocchie, ma assorbivamo cultura di governo delle comunità…». Socialisti senza partito e (anche) a destra? «Contesto che una formazione che ha come dizione la parola socialista si consideri a destra. Non ritengo incompatibile il dialogo con la destra per un dirigente socialista dall’identità eminentemente di sinistra. Marchionna a Brindisi è una intelligenza raffinata, ma mi dispiace vederlo accanto alle bandiere salviniane». L’ultima considerazione: «Ci sono i sindaci e manca il partito? Il Psi sta faticosamente provando a ristrutturarsi dopo il frazionamento nella Seconda Repubblica», chiosa Mastroleo.
La tradizione dei sindaci socialisti in Puglia è antica, e a Bari l’apripista è stato l’avvocato e parlamentare Giuseppe Papalia nel 1959. Daniela Mazzucca, prima donna a indossare la fascia tricolore nel capoluogo regionale (1992) nonché presidente della Fondazione Di Vagno, puntualizza: «La cultura politica socialista, cosa diversa dai partiti, si basa su valori ideali. Ed è condivisa da esponenti politici o sindaci che in Puglia, per ragioni contingenti, hanno trovato spazio in altre forze. Il fondamento? È il “non lasciare indietro nessuno”, l’insegnamento di Pietro Nenni: la collocazione dei singoli negli schieramenti o i trasformismi sono politica dei partiti, e non riguardano le visioni ideali, che invece esistono». «Un partito socialista? Ha difficoltà a rinascere una forza organizzata come il Pd, frutto della stravagante composizione tra ex Pci e ex Dc, figuriamoci gli eredi del Psi. Dopo Craxi quel mondo è diventato un partito di tanti piccoli caporali. Andato via il generale, sono rimaste le quarte file. Non credo all’unità socialista». «Sindaci socialisti a destra o sinistra? Non mi sorprende. Siamo stati abituati ad amministrazioni dalle composizioni variabili. A volte troppo: si mettono insieme realtà contraddittorie per battere l’avversario. Sono “ammucchiate” che così negano un orizzonte politico», taglia corto.
Biagio Marzo, giornalista ed ex parlamentare socialista: «La Puglia - osserva - è stata un laboratorio riformista, mai massimalista. Eravamo la prima regione per voti raccolti nelle città. C’era una classe dirigente, in prima linea, con tanti sindaci. Questo patrimonio è stato accumulato in quegli anni, poi disperso. Ora ritrovato in altre forze politiche. La classe dirigente socialista non era solo partitica, ma anche nella società civile: c’era anche una élite intellettuale, penso a Strehler o Veronesi». Un nuovo Psi? «No. Non c’è un leader capace di coagulare consenso e di essere punto di riferimento. Non c’è partito e organizzazione. Lo sbaglio è che le monetine a Craxi furono lanciate sia dai missini che dai pidiessini: lo squadrismo unì rossi e neri. Così si è cancellato un partito, non una cultura che aveva una progettualità. Decaro non ha governato sul carpe diem ma andando oltre. Marchionna colse già negli anni novanta il valore dell’accoglienza dei profughi, con gli albanesi». La conclusione di Marzo: «Queste qualità sono rare nelle classi dirigenti del nostro tempo».