Riepilogare l'analisi fatta in un saggio di 90 pagine, appare davvero un'opera titanica. Ma Vincenzo De Michele, avvocato di Foggia, esperto anche in contenzioso europeo (tra le sue battaglie, quella sui magistrati onorari), ha sposato anche la causa dei balneari. Da raffinato cultore del diritto, mette in fila norme e sentenze e tira le conclusioni in un «articolo» pubblicato recentemente su una rivista europea. Lui, ad esempio, sostiene che nel regime attuale, le concessioni siano da intendersi a tempo indeterminato.
Avvocato, una tesi ardita?
«Assolutamente no. E glielo spiego subito. Dal combinato disposto della legge Draghi e del milleproroghe del governo Meloni, il quadro che emerge è il seguente: i Comuni e le amministrazioni pubbliche concedenti diverse dai Comuni (come la Regione siciliana) non possono fare bandi fino all’emanazione dei decreti legislativi che avrebbero dovuto riordinare la materia. E le concessioni continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2025 ovvero entro il termine di conclusione della procedura selettiva per il subentro di un nuovo concessionario, nel caso in cui la procedura selettiva si concluda dopo il 31 dicembre 2025; e fino a tale data, cioè fino alla conclusione della procedura selettiva, l’occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente è comunque legittima».
E i decreti di cui si parla?
«Il termine di sei mesi per l’emanazione dei decreti legislativi di riordino del settore è scaduto il 27 febbraio scorso (contestualmente alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge n.14/2023) e, pertanto, i Comuni non possono fare (più) nessuna gara o procedura selettiva, come correttamente evidenziato dal Tar Lecce, sia per le concessioni in corso di utilizzazione sia per quelle non ancora assegnate».
Insomma, si ripristina una situazione pregressa?
«Si ripristina di fatto per le concessioni balneari in corso, il cosiddetto diritto di insistenza e quindi la natura indeterminata della durata delle concessioni».
Scusi e il tavolo tecnico del Governo?
«Quello servirà a definire i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello disaggregato a livello regionale, ma senza nessuna incidenza sulla durata delle concessioni balneari in corso, che rimangono a tempo indeterminato. Il punto è che si fa confusione e la categoria dei balneari è sottoposta a un ingiusto linciaggio mediatico».
Anche lei ritiene che il Consiglio di stato si sia sostituito al legislatore?
«Ritengo proprio di sì. Il 24 ottobre vedremo cosa diranno le Sezioni unite della Cassazione».
Una delle ragioni di quella decisione sta nel fatto che il volume d'affari di 15 miliardi annui vede lo Stato incassare poco più di 100 milioni.
«Se il giro d’affari stimato del settore è stato di quindici miliardi di euro all’anno, l’Adunanza plenaria avrebbe potuto e dovuto anche argomentare che il 55-60% di quel significativo prodotto interno lordo, con l’IVA al 22%, si è tradotto in corrispondenti entrate nelle casse dello Stato e dei Comuni sotto forma di imposte ordinarie, IMU e TARI, dal momento che la quasi totalità dei concessionari demaniali marittimi è costituita da piccoli o piccolissimi imprenditori italiani, con sede legale e stabilimento esclusivamente in Italia, che dunque le tasse le pagano allo Stato italiano e ai Comuni italiani».