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Immobili abbandonati e case-ruderi, Matera e Potenza sono città da salvare

 
Giovanna Laguardia e Donato Mastrangelo

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Giovanna Laguardia e Donato Mastrangelo

Immobili abbandonati e case-ruderi, Matera e Potenza sono città da salvare

Il cratere delle due palazzine di vico Piave a Matera (Foto Genovese)

La «crociata» dei comuni per combattere la burocrazia e recuperare il patrimonio

Venerdì 18 Marzo 2022, 10:47

POTENZA (di Giovanna Laguardia) - Ex scuola media statale di via Leoncavallo: chiusa nel 2009, messa in vendita nel 2011, tre aste andate deserte. Ex centro per l’infanzia Natascia, messo in vendita nel 2013, tre aste andate deserte. Ex Caserma dei Vigili del fuoco di rione San Rocco: trasferita al patrimonio dell’Acta nella prima decade degli anni 2000, ma inagibile fin dal 1980. A Potenza è lungo l’elenco degli edifici pubblici e privati che attendono da tempo una riqualificazione che non arriva. Vuoi perché mancano i fondi per ristrutturarli, vuoi perché incatenati in una destinazione d’uso che li rende di fatto inutilizzabili o poco appetibili per un eventuale acquirente. Su questo fronte il Comune di Potenza ha predisposto un intervento mirato alla semplificazione delle procedure per il cambiamento di destinazione d’uso. L’iniziativa, denominata “Potenza Riusa”, è stata presentata ieri mattina nel corso di una conferenza stampa dal vice sindaco e assessore all’Urbanistica Antonio Vigilante e dal dirigente dell’ufficio Urbanistica e Gestione del territorio, Giuseppe D’Onofrio. Ma in che modo semplificare la burocrazia potrà influire sulle sorti del patrimonio edilizio in abbandono? «L’obiettivo - spiega Vigilante - è triplice. Primo, ridurre il consumo di suolo riutilizzando strutture che hanno già un ingombro. Secondo perseguire una riqualificazione urbana. Terzo, valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico in dismissione, rimasto invenduto perché poco appetibile. Lo strumento messo a punto è una semplificazione dell’iter di variante delle destinazioni d’uso, che porta ad una contrazione delle tempistiche di approvazione e quindi del ritorno economico dell’investimento».

La misura consiste in un bando pubblico al quale potranno accedere soggetti pubblici ma anche privati, in possesso di immobili classificati come Srau, ovvero “Suoli riservati all’armatura urbana”, destinati a servizi e infrastrutture. «Grazie alla proficua collaborazione con la Regione - dice Vigilante - siamo arrivati alla modifica dell’articolo 36 della Legge regionale 23 dell’11 agosto 1999 che offre la possibilità di riconoscere una procedura semplificata per le strutture a uso pubblico dismesso». Ma in questo modo non si corre il rischio di innescare processi di speculazione edilizia? «Innanzitutto - ribatte il vicesindaco - il bando garantirà massima trasparenza nell’accesso. Le richieste arriveranno in consiglio comunale per la prima adozione, poi ci saranno venti giorni di tempo per le osservazioni e poi la definitiva adozione. Non si sta sollecitando un cambiamento di destinazione d’uso globale. Nel caso degli enti pubblici si tratta si tratta di immobili che sono già nel piano di dismissione. Si tratta di dare una possibilità di recupero nel caso in cui per una serie di motivi non ci fosse più la possibilità di riutilizzare quel bene per lo scopo per cui era nato. In ogni caso non è prevista una variazione volumetrica o di sagoma e si terrà sempre conto della necessità di non squilibrare lo strumento urbanistico. Molto del patrimonio pubblico in dismissione a oggi ha visto diverse procedure di gara andare deserte; l’auspicio è che ora questi immobili potranno ottenere l’interesse da parte del mercato immobiliare. Abbiamo posto le basi perché i temi su cui si è fatta tanta accademia ora possano essere attuati concretamente. Nel contesto anche del “Superbonus 110%” e nel pieno spirito della stessa legge, si incentiva il miglioramento del patrimonio edilizio esistente».

Oltre agli edifici non più utilizzabili nella funzione per cui erano stati concepiti, c’è il caso di immobili, anche pubblici, che oggi non avrebbero più i requisiti di legge per poter essere utilizzati. Un problema comune alle antiche botteghe di molti centri storici. «Ci stiamo muovendo anche su questo fronte - dice Vigilante - sul quale immaginiamo di poter trovare una risposta cercando di aprire a nuove opportunità di recupero attraverso l’adozione di deroghe sul regolamento edilizio». Nulla da fare, invece, per le strutture private in disuso o in rovina, pure presenti in città. Si pensi, ad esempio, alle sale cinematografiche in abbandono. «Per poter intervenire - spiega Vigilante - in questo caso bisognerebbe avere il possesso dell’immobile. Abbiamo comunque iniziato un ragionamento anche su questo».

MATERA (di Donato Mastrangelo) - Il percorso giudiziario da un lato e l’emergenza abitativa dall’altra. Sono le due facce di una stessa medaglia, quella che riguarda la vicenda del crollo delle due palazzine di Vico Piave avvenuto l’11 gennaio 2014 provocando la morte della giovane trentaduenne Antonella Favale, rimasta intrappolata sotto le macerie. Il 26 marzo dello stesso anno, in ospedale morì Vito Nicola Oreste per i gravi traumi riportati a causa del cedimento strutturale. Fu un dramma che scosse la città ed ebbe una vasta eco mediatica anche a livello nazionale. Per molti una tragedia annunciata che si sarebbe potuta evitare. Le ultime risultanze, sul piano giudiziario, sono quelle secondo cui venerdì scorso è stato depositata la sentenza emessa a dicembre dalla Corte di Appello di Potenza con la quale era stato prescritto il reato di omicidio colposo per tutti e sei gli imputati coinvolti nella vicenda.
La Corte d’Appello aveva invece confermato la condanna per tre dei sei imputati accusati del reato di crollo colposo. L’inchiesta della magistratura con le indagine coordinate dal Procuratore della Repubblica Celestina Gravina e dal pubblico ministero Annunziata Cazzetta si era concentrata sui lavori eseguiti nel periodo antecedente il cedimento dell’immobile situato a ridosso del Sasso Barisano. Da allora sono cominciati i disagi anche per una decina di inquilini delle due palazzine che sono rimasti senza casa, al momento ancora in attesa di un alloggio. «Al danno della tragedia e della perdita di vite umane - dichiara Daniela Casamassima che abitava di fianco alla casa di Antonella Favale - si è aggiunta pure la beffa per gli sfollati di Vico Piave. Dopo le promesse dei giorni successivi alla tragedia siamo stati abbandonati al nostro destino. Assieme a mio marito fummo ospitati dai nostri genitori poi riuscimmo a trovare un alloggio. Dal 2015 siamo in affitto, pagando 500 euro al mese».
Daniela ricorda nitidamente quei momenti tremendi in cui scampò miracolosamente al crollo delle palazzine. «Mi ero appena svegliata; udii un tonfo, pensavo fosse un temporale, poi le urla degli altri inquilini mi allarmarono. La mia abitazione, infatti, era crepata ma non collassata a differenza di quella della povera Antonella che poi fu estratta priva di vita dalle macerie». Per i residenti che hanno perso la casa la speranza è ora riposta nelle misure previste dal Superbonus 110% edilizia. «Forse si riuscirà a demolire e ricostruire - dice Casamassima - ma difficilmente ritorneremo a vivere in quel luogo che riporta alla memoria una immane tragedia».

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