Infrastrutture, formazione, sburocratizzazione, questione energetica e transizione green, innovazione, digitalizzazione e automotive: ecco i capisaldi del piano di sviluppo immaginato dalle imprese e formalizzato in un documento di Confindustria Basilicata che intende così partecipare alla stagione di programmazione legata al Piano strategico regionale.
Il primo step, a parere degli industriali, è rappresentato dall’intervento infrastrutturale finalizzato a ridurre il gap con il resto d’Italia e a rendere più competitivo il territorio in un’ottica attrattiva degli investimenti produttivi.
Sui contenuti della proposta di Confindustria ne parliamo con il presidente Francesco Somma.
Da tempo si parla del piano strategico. A che punto siamo?
«Qualcosa è stato fatto, ora occorre maggiore slancio. La Basilicata ha urgentemente bisogno di nuova fase di programmazione che consenta alla regione non solo di uscire dall’emergenza Covid ma anche di superare le fragilità che da troppo tempo ne ostacolano la crescita».
Ogni anno ci si arrovella su questi temi. Il rischio è di impantanarsi com’è accaduto in passato...
«E infatti invochiamo discontinuità rispetto rispetto al metodo degli interventi a pioggia. È fondamentale concentrarsi sul merito delle questioni. Dare vita a un percorso plurale, attraverso un progetto partecipato e condiviso tra la Regione Basilicata, il sistema delle imprese e i sindacati e i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali».
Quali sono le priorità su cui intervenire?
«Migliorare la competitività del territorio, reti e connessioni e centralità dell’impresa sono elementi indispensabili per assicurare ai lucani pieni diritti di cittadinanza e contrastare fenomeni quali spopolamento e marginalità».
Occhio alle infrastrutture. Il tema di sempre...
«Imperativo strategico è presidiare con la propria rappresentanza politica regionale e parlamentare l’evoluzione dei principali dossier infrastrutturali con un obiettivo chiaro e inderogabile di garantire al Mezzogiorno le risorse necessarie a farne un altro motore dell’Italia e non più un vagone della locomotiva del Nord».
Più infrastrutture, più connessioni nel territorio per quale volto del mondo produttivo?
«La Basilicata ha bisogno di una nuova fase di industrializzazione sostenibile. Anche il recente passato di questa terra ce lo indica chiaramente: gli investimenti del post sisma rappresentano ancora i pilastri della nostra economia. Questo, chiaramente, non deve distrarci dalla piena valorizzazione degli asset di risorse culturali, naturali, paesaggistiche, architettoniche e ambientali e le relativa filiere di prodotti e servizi».
Quando parliamo di sostenibilità il riferimento va inevitabilmente anche al settore petrolifero. Su cosa bisogna incidere, a suo giudizio, per limitare al massimo l’impatto ambientale e trarre vantaggi dal comparto?
«Le notevoli produzioni che la Basilicata vanta, sia da fonti classiche che rinnovabili, ci mettono in una condizione di vantaggio rispetto a una compiuta transizione energetica che necessita di tempi ancora lunghi. Ma, sia in un ambito che nell’altro, bisogna superare pregiudizi ideologici che ancora alimentano una cultura antindustriale e fortemente limitativa della libertà di impresa. Non si può da una parte essere convinti fautori del green e dall'altra prolungare irragionevolmente i tempi dei procedimenti amministrativi e mettere limiti eccessivamente stringenti agli investimenti che vanno in questa direzione. Spesso, soprattutto nei casi del fotovoltaico e dell'eolico, ci troviamo di fronte a decisioni che successivamente vengono bocciate anche dai Tribunali amministrativi e dalla Corte Costituzionale. Buona parte dei proventi dell’attività estrattiva vanno indirizzati in investimenti non Oil. Dopo i primi passi annunciati dalla Regione in questa direzione attraverso il «Contratto di sviluppo a valenza regionale», abbiamo registrato una reazione molto positiva da parte delle imprese a cui ora bisogna garantire azioni concrete e tempi rapidi di attuazione. È necessario procedere a un’accelerazione».
Molte aspettative dell’imprenditoria sono legate alla Zes jonica.
«Occorre farla partire presto. È un potentissimo strumento di consolidamento dell’esistente e attrazione di nuovi investimenti, attraverso le facilities logistiche, le semplificazioni e la fiscalità di vantaggio aggiuntiva a quella già in essere della decontribuzione previdenziale per gli occupati nel Mezzogiorno. La Basilicata ha una posizione centrale rispetto alle Zes meridionali e può pertanto essere naturalmente crocevia degli spostamenti di merci e persone».
Anche il mondo imprenditoriale deve fare la sua parte per favorire lo sviluppo del territorio. In che modo?
«Ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico sono la chiave per la transizione dell’apparato produttivo verso modelli più smart e maggiormente sostenibili. L’automotive lucano, ad esempio, sta affrontando una doppia sfida: il riposizionamento con la nascita di Stellantis e l’adeguamento della produzione ai nuovi obiettivi di transizione ecologica, attraverso nuovi investimenti. Bisogna quindi sostenere l’indotto per aumentare le quote nelle catene di subfornitura. Pieno protagonismo della transizione energetica significa economia circolare, bonifica Sin, equilibrate misure in tema di emissioni».
Presidente, ha fatto cenno all’approccio smart, alle connessioni. Ma anche su questo fronte la Basilicata sconta ritardi...
«Sì, è vero. Riteniamo che la digitalizzazione sia un’altra delle sfide imprescindibili che la Basilicata deve affrontare con tenace determinazione, dato che investe tanto il campo del pubblico che il sistema delle imprese. Una sfida che dovrà consentire di superare i divari di connettività a livello territoriale e la messa a punto di soluzioni di infrastrutture/piattaforme caratterizzate da interoperabilità e adeguato contenuto di servizi digitali, tali da ridurre gli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese della Basilicata».
Proiettandoci al futuro cosa immagina Confindustria per la formazione dei giovani?
«Va potenziato il sistema formativo superando il mismatch, ancora troppo elevato, tra domanda e offerta di competenze. In tale ottica è necessario investire di più e portare a compimento anche in Basilicata i percorsi finalizzati alla nascita degli Istituti Tecnici Superiori (Its) che già oggi sono di gran lunga il miglior canale in termini di occupabilità (oltre l’80 per cento dei frequentanti lavora ad un anno dal titolo). Gli Its hanno la capacità di preparare i quadri intermedi delle aziende, indispensabili nel processo di transizione 4.0. Altra interessante proposta potrebbe essere quella di immaginare percorsi di work experience a carico della Regione per trasferire le competenze necessarie ai lavoratori disoccupati dei comuni della concessione Tempa Rossa, che verrebbero affiancati ai lavoratori esperti del Centro Oli. Possedere professionalità adeguate diventa fondamentale per i lavori su un impianto a rischio rilevante».
ll ruolo dell’Università?
«Crediamo che debba essere chiamata a un maggiore sforzo per potenziare l’offerta formativa nei settori trainanti dell’economia lucana per contrastare il fenomeno della cosiddetta fuga dei cervelli. Più complessivamente va rafforzata l’efficacia dei link tra Università, centri e organismi di ricerca e sistema delle imprese, dentro a un’articolata strategia di intervento tramite la quale stimolare e sostenere la propensione all’innovazione aziendale e il trasferimento tecnologico. Esempio concreto e virtuoso nei sono i cinque cluster regionali a cui fanno riferimento circa 200 imprese lucane, per il cui sviluppo da tempo il partenariato sociale attende, fiducioso ma ormai impaziente, l'esito dei bandi».