Una notizia di giornale, forse marginale, e scatta la molla della solidarietà. Così un piccolo imprenditore potentino, che vuol rigorosamente restare anonimo, si è fatto avanti con la Gazzetta per donare alla Fondazione Madre Teresa di Calcutta, che gestisce due strutture di accoglienza in città, un container attrezzato per la residenzialità da utilizzare per dare un tetto a chi bussa alla porta dell’accoglienza presso la struttura della chiesa di Santa Maria del Sepolcro, in attesa che sia sottoposto agli accertamenti medici che escludano il contagio covid.
Qualche giorno fa la Gazzetta ha pubblicato l’iniziativa di Casa Don Tonino Bello (una delle due strutture della fondazione) che, grazie alla disponibilità di una benefattrice, ha posizionato davanti alla struttura per senza tetto di via Di Giura un camper per fare la prima accoglienza di chi bussa alla porta in attesa di eseguire il tampone per verificare la negatività al Covid-19.
Nei mesi precedenti, infatti, l’impossibilità di avere una zona cuscinetto in cui ospitare i richiedenti, in uno alla mancata disponibilità dell’Asl di eseguire subito i tamponi (poi risolta grazie all’impegno volontario della Polisan) aveva di molto limitato la possibilità di accoglienza, ponendo i volontari nella fondazione del triste dilemma se negare un tetto a chi bussava alla loro porta, magari a tarda sera o esporre al possibile contagio quanti erano già ospitati all’interno.
Così, grazie al camper, il nuovo protocollo prevede che il nuovo arrivato sia momentaneamente alloggiato nel campere in attesa che il tampone (come detto immediatamente eseguito dalla Polisan) dei i risultati, e dopo la certezza del non contagio sia immesso nella struttura di accoglienza.
E qui l’intervento dell’anonimo benefattore. Leggendo la notizia sulla Gazzetta, e sapendo dell’esistenza dell’altra struttura vicino la chiesa di Santa Maria, ha pensato di farsi avanti per duplicare il modello e superare le difficoltà anche lì. Così l’offerta di acquistare a proprie spese la struttura e posizionarla nei pressi degli alloggi già ricavati in un’ala del convento (che ha anche un cortile interno) in modo da poter far coesistere cultura dell’accoglienza e garanzie per la salute di tutti.
«Ne ho sentito il dovere - dice - anche perché uan cosa era lasciare le persone in mezzo alla strada nei mesi scorsi, quando faceva caldo, altro è farlo ora col gelo e la neve che incombono. Anzi, aggiunge, se altri volessero farsi avanti la cosa si potrebbe replicare anche presso altre parrochie». E se la catena dovesse allungarsi, la Gazzetta sarebbe ben felice di farsene tramite.