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Melfi, è un pericoloso boss mafioso, ma l'emergenza Coronavirus lo manda a casa

 
Giovanni Rivelli

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Giovanni Rivelli

carcere di Melfi

Pollichino è passato ai domiciliari dal Tribunale di Sorveglianza di Potenza

Martedì 28 Aprile 2020, 12:36

MELFI - Pur essendo «indubbio lo spessore criminale del detenuto», per l’emergenza Covid-19 esce dal carcere di Melfi, dove era detenuto per associazione mafiosa, e va ai domiciliari.
C’è anche un episodio lucano nel caso dei boss scarcerati per l’emergenza sanitaria ed è quello di Pietro Pollichino, condannato in a 6 anni e 8 mesi dalla Corte d’Appello di Palermo (e la sentenza è passata in giudicato) per essere uno degli esponenti del mandamento di Corleone, quello di Totò Riina, poi passato a Rosario Lo Bue che lo aveva nominato referente del territorio di Contessa Endellina, nel Palermitano. Per lui, già ultrasettantenne, e le porte del carcere dovevano aprirsi a fine luglio 2021 ma ora torna a casa.

A fine marzo una discussa circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria guidato dal lucano Francesco Basentini aveva chiesto di segnalare i detenuti con più di 70 anni con particolari patologie e di fornire l’elenco “con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza”. Nel Caso di Pollichino, però, l’iniziativa, da leggere comunque nel contesto generale, è partita dal suo difensore, l’avvocato melfitano Giuseppe Colucci, che ha presentato al Tribunale di Sorveglianza istanza per il differimento della pena per motivo di salute.

Una richiesta tecnicamente rigettata, perché il Tribunale l’ha ritenuta incompatibile con la pericolosità sociale di Pollichino, ma che ha sortito effetti per l’emergenza Covid. Due relazioni sanitarie succedutesi nell’arco di poco più un paio di mesi (una prima, l’altra dopo la rivolta del carcere partita proprio dal pericolo Covid), in relazione alle condizioni di salute del detenuto, avevano prima suggerito lo spostamento in un carcere nei pressi di un ospedale con Unità di terapia intensiva coronarica (ipotesi respinta dal Dap che aveva confermato la detenzione a Melfi) poi evidenziato le difficoltà di cura in carcere pur senza evidenziarne l’incompatibilità. Ma ora, la Sorveglianza ha valutato la situazione osservando che «la nozione di incompatibilità delle condizioni di salute con la permanenza in carcere deve essere rielaborata tenendo conto del fatto che il gravissimo quadro epidemiologico rende difficoltoso fare ricorso ai trattamenti sanitari presso i presidi territoriali». E quindi, causa emergenza coronavirus, «non può escludersi, in caso di eventuale contagio, il verificarsi di un serie peggioramento delle condizioni di salute del soggetto, difficilmente fronteggiabile all’interno del carcere». Anche se pericoloso, così, torna a casa.

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