Se a Matera si denunciano situazioni di camerieri e barman sottopagati, a Potenza serpeggia un altro fenomeno nel settore della ristorazione e della ricettività: il rifiuto del posto di lavoro. Niente a che vedere con situazioni di sfruttamento, stipendi da fame, approcci che rasentano lo schiavismo. Anzi, a Potenza si arriva a rifiutare un dignitoso stipendio di 1.000-1.300 euro per 40 ore settimanali dietro al bancone di un bar. Accade al Main Street di via del Gallitello, locale tra i più «gettonati» della movida potentina. A segnalare il caso è la proprietaria, Mara Basentini, che non si dà pace per l’enorme difficoltà nel reperire personale: «Ho urgenza di una persona in caffetteria a cui farei un regolare contratto a tempo determinato previsto per i pubblici esercizi. Ci sono - spiega Basentini - particolari facilitazioni per il datore di lavoro e lo stesso lavoratore grazie ai recenti accordi sugli stagionali. Ma non riesco a trovare un giovane disposto a venire qui».
Una situazione inspiegabile in un territorio, la Basilicata, in cui da sempre si dice che l’offerta occupazionale sia carente: «È una leggenda metropolitana - taglia corto Basentini -. Nel mio settore, come confermerebbero anche i colleghi di altri locali, siamo alla perenne ricerca di personale». Le ragioni del rifiuto ad accettare proposte di lavoro? Forse gioca un ruolo anche il timore di essere sfruttati e sottopagati, così come denunciato dalla Nidil Cgil a Matera: «Può essere - aggiunge Basentini - ma io non darei mai solo 500 euro a un ragazzo per lavorare tutto il giorno. I dipendenti sono importanti, mandano avanti l’attività e sono decisivi nel fare la differenza tra la tua azienda e i competitor. Se a Matera davvero non vogliono pagare, io invece voglio pagare, ma non trovo nessuno nonostante offra un contratto full time con una paga base di buon livello». L’offerta è rivolta a chi sa già operare in questo campo. Per i neofiti? «Saremmo disposti - sottolinea Basentini - anche a fare formazione, ma è chiaro che in questo caso proporremmo un contratto di tirocinio».
Accanto al mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, con i ruoli «tradizionali» invertiti, Basentini segnala anche il tema della «fuga»: «In due anni nel mio locale hanno lavorato 53 persone, molte delle quali giovanissime. Ragazzini che - spiega - hanno deciso di andarsene sulla riviera romagnola o in grandi città come Roma, Milano e Torino, prendendo gli stessi soldi che garantivo io. Con un particolare non irrilevante: per vivere fuori casa spendono molto di più». L’altro aspetto che inquieta è legato alla cosiddetta «tendenza al parassitismo»: «C’è chi non ha voluto 1.200 euro al mese - conclude Basentini - rispondendomi che preferiva prenderne 800 di disoccupazione e starsene a casa». Atteggiamento che rischia di amplificarsi a vari livelli con l’introduzione del reddito di cittadinanza.