Stessa famiglia, scelte di vita completamente diverse. La gente dei Laraspata per una ragione che nessuno ha mai compreso, soprattutto Anna, credette che lei stesse facendo comunella con gente di un clan nemico e cominciò a perseguitarla. Anna si ribellò rivolgendosi alla legge e denunciando il malaffare che s’annidava nella città vecchia. La criminalità non l’ha perdonata. Ha minacciato e aggredito la sua famiglia, ha tentato di ammazzare uno dei suoi figli, ha dato fuoco alla barca del marito pescatore.
Anna Massari non si è mai arresa. «Parlerò fino alla morte» disse deponendo nel processo «Mayer» che vide alla sbarra boss e affiliati del clan Laraspata. In quel processo si costituì parte civile. E chiese, come risarcimento simbolico, un euro: «Non li voglio i soldi della mala». Il ricordo del ruolo svolto dal clan Laraspata, che «regnò» nella città vecchia a metà degli anni Novanta è sopravvissuto al suo declino. Il sodalizio Laraspata, fu sgominato nel 1996 con l’ope - razione denominata «Mayer», dal soprannome di una delle vittime dei vari regolamenti di conti.
Il capo era Donato Laraspata che venne catturato nell’ottobre del 1999. La capitolazione de "U’nonn" ("Il nonno"), ultimo mito del clan, segnò la fine di una dinastia criminale. Personaggi come «Feluccio», il fratello Tommaso, detto «ù professor », e, per ultimo, Donato, appartengono ormai al passato della criminalitá cittadina. I Laraspata si affacciarono sul panorama criminale cittadino nel 1993 dopo le dure condanne inferte alla mala della cittá vecchia con il maxi processo ai clan di Bari. Grazie a Donato, cominciano a gestire il traffico di sigarette, armi e droga dal Montenegro. In poco tempo formano un piccolo esercito e ingaggiano una guerra senza quartiere con i clan avversari. Quando nel 1997 le inchieste della Procura di Bari portano in carcere gran parte dei clan baresi i vertici del gruppo Laraspata si rifugiarono in Montenegro. [l.nat.]
















